NapoliFlagellata dagli arresti la Commissione tributaria di Napoli. All'alba di ieri, sedici giudici tributari sono finiti in manette nell'ambito di una indagine condotta dai pm della Direzione distrettuale antimafia ed eseguita dai militari del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza. Le fiamme gialle hanno eseguito una ordinanza cautelare emessa dal gip a carico di 60 indagati. Nel dettaglio 22 persone (tra queste 3 giudici tributari) sono state rinchiuse in carcere, altre 25 (tra queste altre 13 toghe) ai domiciliari mentre altre 13 hanno ricevuto un ordine di divieto di dimora a Napoli. Ai 60 indagati sono contestati reati che vanno dal concorso esterno all'associazione mafiosa e reimpiego o riciclaggio di illeciti proventi sino ad una ampia contestazione di associazione per delinquere, corruzione in atti giudiziari (nei contenziosi tributari). Le fiamme gialle hanno anche sequestrato beni per un miliardo di euro, tra aziende di rilievo nazionale attive nei settori della siderurgia e dell'alberghiero, immobiliare a alimentare. Dda e fiamme gialle sono arrivate alle toghe della Commissione tributaria partendo da una indagine sul piu' potente e sanguinario dei clan della camorra vesuviana, la cosca capeggiata da Mario Fabbrocino. Gli inquirenti della Dda, coordinati dal procuratore facente funzioni Alessandro Pennasilico e dal Procuratore aggiunto Federico Cafiero de Raho hanno fatto chiarezza sui disinvolti comportamenti mantenuti da diversi giudici tributari, che oltre a essere anche consulenti di aziende piu' o meno compromesse, scambiavano favori con i colleghi componenti delle commissioni. Tra i 16 giudici tributari arrestati c'è anche Anna Maria D'Ambrosio, ritenuta dagli inquirenti la mente del sistema mentre era la consulente della potente FAMIGLIA Ragosta, quest'ultima considerata prestanome del clan Fabbrocino. «Le indagini hanno dimostrato una fitta rete composta da imprenditori, professionisti e giudici delle Commissioni Tributarie, fra loro collegati, che attraverso uno scambio reciproco di favori, segnalazioni ed aggiustamenti di sentenze e di pilotamento delle assegnazioni a giudici relatori compiacenti e disponibili a barattare l'esito dei ricorsi tributari in cambio di merce dello stresso tipo, spesso addirittura falsificate e scritte dallo stessa parte privata ricorrente, hanno per lungo tempo e con assoluta costanza turbato l'esercizio della giustizia tributaria offrendo l'indecoroso spettacolo di un vero e proprio mercato delle sentenze», spiega il gip Alberto Capuano nella parte dell'ordinanza. «E, poco importava al contribuente disonesto che venisse accertata la sua evasione fiascale. Bastava poi aggiustare le sentenze in sede di contenzioso tributario attraverso gli «amici»: l'evasione poteva continuare addirittura coperte da sentenze che la legittimavano» spiegano alla Dda. Figure centrali dell'indagine sono rappresentate dai fratelli, Fedele, Giovanni e Francesco Ragosta, originari di San Giuseppe Vesuviano, uno dei centri più ricchi d'Italia ma, anche dominato da decenni dalla camorra. Il padre dei tre fratelli, Giuseppe, fu ucciso agli inizi degli anni Novanta dai sicari della camorra. E, quella era anche un'epoca in cui la ditta della famiglia Ragosta, specializzata nella rottamazione del ferro vecchio nemmeno era menzionata tra le aziende degne di tal nome di tutta la Campania. All'improvviso, una decina di anni fa, il salto di qualita', quando, i Ragosta si trovano ad essere i proprietari di un impero economico tra i piu' importanti di tutto il sud. «Un mercimonio di sentenze giudiziarie» spiegano il Procuratore Pennasilico e il procuratore aggiunto Cafiero de Raho. Secondo gli inquirenti, tra coloro che scrivevano le sentenze, poi firmate dai giudici, vi era anche l'avvocato Enrico Potito, titolare della cattedra di Diritto tributario alla Federico II di Napoli, anch'egli finito in carcere. Nell'inchiesta sono coinvolti anche esponenti dell'Ufficio del Garante del contribuente per la Campania, nato appunto per garantire un rapporto trasparente tra fisco e contribuente, che avrebbero agito per favorire gli evasori fiscali.
«La procura non può accusare il gruppo Ragosta di essersi arricchito con l'evasione tributaria e, contestualmente, di non riuscire a giustificare la provenienza della sua ricchezza», ha detto l'avvocato Mario Papa, difensore di Fedele Ragosta.A Napoli il Fisco perdona (ma solo se sei camorrista)
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