
Di liberali in giro ne sono rimasti pochi. E quelli sopravvissuti non albergano, salvo eccezioni, nelle facoltà di giurisprudenza italiane. Per quale ragione? Perché in esse la fa da padrone un pensiero unico inappellabile che può riassumersi così: la separazione dei poteri è un punto di vista derogabile; il primato della giurisdizione è indiscutibile; la dialettica istituzionale è solo tra giudici di livello più basso e più alto fino a quelli internazionali; e infine le garanzie individuali non sono un valore assoluto ma condizionato alla salvaguardia dell'etica pubblica.
Ecco perché quando un professore di diritto penale dell'Università di Firenze, Fausto Giunta, si avventura a esprimere una argomentata opinione dissenziente è doveroso prestargli ascolto. Nel suo libro, Ghiribizzi penalistici per colpevoli, Ets, 2019, non si può proprio dire che la mandi a dire, seppure con eleganza e ironia. Il punto di partenza è lo stato attuale del diritto penale: la norma non viene più creata dal legislatore e applicata dal giudice, bensì abbozzata dal Parlamento e definita nel corso del processo. Eppure le cose non dovrebbero stare così. Il principio di riserva di legge da tre secoli a questa parte serve proprio a difendere il cittadino dall'arbitrio del giudice. Il cittadino dovrebbe sapere quali comportamenti creano un disvalore sociale tale da attirargli la sanzione penale. Strano a dirsi, ma sono in molti a non pensarla in questo modo. Il vero nemico sarebbe il legislatore e il magistrato invece apparirebbe come l'alfiere di giustizia, complice il tenace discredito che da trenta anni colpisce il Parlamento. Non è così del resto che funziona negli Usa? Non comandano i giudici? Non proprio, ci ricorda Giunta. In Italia si è sviluppata la tendenza a prendere a prestito dagli Usa le componenti che fanno comodo per rigettare le altre. Sì allora all'abolizione del grado di appello nel merito, ma no all'adozione della giuria; sì a una certa indeterminatezza della norma penale, ma no alla fedeltà al precedente, per tacere poi dei contrappesi rappresentati dalla discrezionalità dell'azione penale e dalla scelta dei giudici nel novero degli avvocati, addirittura aborriti.
A impensierire in tutto questo è lo sviluppo di una concezione vendicativa del penale e della convinzione che la norma si plasmi nel processo, il che spiega la tenace e perversa campagna in corso a favore dell'allungamento della prescrizione. Le parole di Giunta sono sferzanti nel descrivere la condizione in cui versa la giustizia penale: «bulimia punitiva», «diritto penale populista», «libertinaggio ermeneutico». In filosofia vi è del resto chi avalla questa degenerazione dicendo: non vi sono fatti, ma solo interpretazioni. Verrebbe da commentare: ce ne siamo accorti! Non è detto del resto che questa concezione sacerdotale che affida ai giudici tanto il facere quanto il dicere del diritto migliori di molto salendo i gradi del giudizio. Persino i giudici europei del Lussemburgo e la Corte costituzionale non vanno esenti da critiche per cedimenti molto significativi rispetto alla bibbia del liberalismo penale. Alla quale, nella sostanza, ci dice Giunta bisogna tornare resistendo alle sirene di un diritto libero amministrato da mandarini del diritto legittimati solo dal carisma popolare e da una supposta sapienza tecnica.
E allora ecco la ricetta. Innanzitutto restituire centralità alla riserva di legge che, per quanto appannata nel suo ruolo di garanzia, è sempre superiore alla interpretazione soggettiva di un ceto di giudici irresponsabili. In secondo luogo ripudiare il fondamentalismo punitivo che confonde la linea di demarcazione tra illecito penale e giudizio morale. In terzo luogo rifuggire da ogni forma di surrettizia responsabilità penale oggettiva che annacqui il requisito del dolo o della colpa individuali.
Infine mettere mano all'ordinamento giudiziario che non può rimanere racchiuso nel recinto di una corporazione autoreferenziale. Giusto. Sapevamo che essere liberali è impegno quotidiano e controcorrente. Fausto Giunta ci ha dato un incoraggiamento per perseverare.