A questo punto, come peraltro avevamo scritto proprio sul Giornale, alcuni mesi fa, per il Monte dei Paschi di Siena non resta che la nazionalizzazione. A spese dei contribuenti. Visto che i quattrini non nascono sugli alberi. E con una bella procedura di infrazione europea, che ci meritiamo in pieno.
Vediamo come stanno le cose. Il Monte, ormai è acclarato, è stato gestito con i piedi. Unica grande banca in cui a comandare è stato un partito: quello comunista. Sembra preistoria, ma non è. Non si capisce perché non si debbano dire le cose come stanno. Anche le casse di risparmio lombarde sono state gestite da un partito: quello democristiano. Non siamo mai stati teneri con Giuseppe Guzzetti, ancora dominus della Fondazione Cariplo. Ma da quel marchio di origine sono nate banche e istituzioni tra le più solide in Italia. Il Pci prima e i suoi eredi dopo, hanno pensato di essere una repubblica autonoma. In un Paese in cui non ci sono mai responsabilità, forse converrebbe dire che nel caso del Mps, esse ci sono e sono ben identificate. Secondo tragico passo è stata (...)
(...) l'acquisizione di Antonveneta. Anche Unicredit paga cara la sua politica di shopping internazionale e domestica. Come si vede in queste ore è costretta a vendere il vendibile e a proporre aumenti di capitale. Ma la banca ha una sua solidità patrimoniale e reddituale che a Siena si scordano. Il Monte, e non solo per colpa del suo ex presidente Mussari, ma di tutto il milieu che lo ha circondato, ha comprato a debito una banca a cifre da capogiro.
In questo quadro è arrivata la crisi finanziaria. Quasi 30 miliardi di euro di sofferenze. E la vigilanza che si è spostata dalla compiacente Banca d'Italia, alla occhiuta Banca centrale europea. Le sofferenze dovranno così essere coperte al 72% del loro valore e le partite incagliate (un imprenditore che non paga la rata da sei mesi) almeno del 42%. Insomma, la banca senese deve trovare cinque miliardi per coprire prestiti dati a cavolo. Adesso chiediamo più tempo. Ma il telegramma o la mail arriva a Francoforte e non più a Roma, e quelli non capiscono bene perché se ne debba perdere ancora. Per di più vogliamo più tempo, per aspettare un nuovo governo che a sua volta sarà, nella migliore delle ipotesi, anche esso a tempo e comunque non certo solido come l'acciaio.
Terzo colpevole. L'attuale ministro dell'Economia, Padoan. Non lo diciamo solo noi, ma anche i suoi compagni di partito: il suo più feroce critico è il presidente pd della Commissione bilancio Francesco Boccia. Da tempo si conosceva il casino della banca. La soluzione individuata era quella di affidare a due banche la raccolta dei cinque miliardi necessari. Nessuna delle due si è impegnata a garantire di fatto il buon fine dell'operazione. Insomma su Mps sono mesi che giochiamo a poker senza avere neanche un asso tra le carte. È caduto il governo, ma poteva cadere la Borsa, o potevano scappare gli investitori. O come ha detto perfidamente Ferruccio de Bortoli, a Matrix, si è utilizzato l'impasse del Mps come arma per ricattare un certo mondo a mantenere il governo Renzi in piedi. Facciamola semplice: ma chi pensate possa mettere cinque miliardi in una banca, di cui si conosce poco, se non i buchi enormi che ha e un passato in cui ha divorato un aumento di capitale dietro l'altro? Solo un economista dell'Ocse ci poteva credere. E un paio di banche d'affari, senza responsabilità sul buon esito dell'operazione, ma con la certezza di incassare commissioni milionarie. Non se ne esce. Il paradosso è che la soluzione a questo punto farà male a tutti. La banca dovrà essere nazionalizzata. I meccanismi possono essere diversi e tutto sommato relativamente importanti. I contribuenti pagheranno ancora una volta il conto. Gli azionisti lo hanno già pagato. Gli obbligazionisti più piccoli se non hanno venduto la loro carta a 65 centesimi la settimana scorsa prenderanno un'ulteriore botta. Forse si riuscirà, ma è tutto da vedere, a salvare i correntisti. Ma nessuno ci toglierà una bella infrazione europea. Padoan, probabilmente resterà al suo posto. E ci racconteranno che il pasticcio deriva dalla caduta del governo Renzi. Falso. Il pasticcio l'ha costruito anche colui che domani verrà incredibilmente chiamato a pulire i cocci dei propri maldestri movimenti. Ma soluzioni diverse a questo punto non ce ne sono. E lo dice chi crede nel mercato, e nella responsabilità individuale e dunque nel fatto che paghino anche gli investitori. A questo punto però far saltare il Monte vorrebbe dire compromettere la fiducia nel nostro sistema creditizio.
Ammazzare le quotazioni, per osmosi, delle banche più sane. E renderle prede appetibili per banche pubbliche straniere o istituzioni private che grazie a fondi pubblici negli anni scorsi hanno parzialmente messo a posto i propri bilanci. Il mercato è pragmatico, non ideologico.
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