Ma nel dolore pure il conforto è ormai laico

Nei campi dei terremotati c'è la tenda degli psicologi. E ben pochi preti

Ma nel dolore pure il conforto è ormai laico

N ei campi dei terremotati c'è la tenda degli psicologi, sono loro quelli ufficialmente abilitati a dare conforto. Ed è una buona cosa, bisogna pur dare ristoro anche a quel che è invisibile, la psiche, che ha subito traumi perché anche quella non è stata costruita secondo criteri antisismici, o forse non ce n'è. Per cui nei campi di accoglienza è stata montata la struttura leggera dove si cucina e si mangia, quella dove si dorme, c'è la tenda della Croce rossa in cui si cura il corpo e poi ecco quella che ospita chi dà sostegno alle menti spezzate dal dolore e dalla paura. Sono così salvaguardati tutti i bisogni essenziali. Manca qualcosa?

Ecco. Non c'è una chiesetta, magari di cotone, di plastica, di moplen, dove un prete consoli e dia i sacramenti, nella discrezione necessaria. Quella non è prevista nell'emergenza. Ed è perfetto, secondo i criteri del nostro tempo, dove la guerra di religione è molto di moda ma l'unica religione ammessa per curare le anime è quella che ha per fondatori Freud e Jung. Gesù non ha mai avuto una pietra dove posare il capo, del resto - sono informato - è invisibile, e si palesa nel volto dei poveri. Però gli uomini non vivono senza segni. E la presenza o assenza di segni tangibili dice che cosa conta e che cosa no. Oggi non siamo ancorati a nulla: al massimo alle pillole degli psichiatri. Basta così?

Non mancano i sacerdoti. Girano impolverati e instancabili due vescovi locali, Pompili e D'Ercole. I curati e i frati corrono anche dove qualcuno maledice Dio e i santi. Ma una casetta di tela, di cellophane, dove stia il Santissimo, non c'è.

Questa emarginazione è cominciata nel 1976, al tempo del sisma in Friuli. I preti antichi, solidi come rocce e leggeri come cime alpine, erano tutti un «ora et labora». Capivano bene che per rinascere il popolo deve ritrovarsi intorno a simboli vivi, in cui si trova la sorgente di una vita che ricomincia. La chiesa, le campane, il monumento rimesso su a Garibaldi. Ma prevalse l'ideologia dei preti dei «cristiani per il socialismo», da teologia della liberazione, secondo cui prima bisogna rimettere su le fabbriche, poi le scuole, quindi le case, e per le chiese si vedrà.

Oggi forse si metterebbe al primo posto la sala giochi, meglio distrarsi, non è vero? Oppure, più pensosamente, si offre il rimedio di un percorso di psicoterapia. Anche se non risulta che sia mai nata una civiltà nuova o si sia ricostruito un mondo pieno di pace intorno al lettino di uno strizzacervelli (per informazioni, citofonare Woody Allen).

In fondo, questo ritorno al massaggio della psiche ricorda la soluzione gaudente che, contro le angosce della morte, propose la principessa Cristina di Belgiojoso nel 1849, durante la Repubblica Romana. La nobildonna rivoluzionaria ingaggiò negli ospedali un corpo di infermiere specialissime: brigate di prostitute sostituirono le suore di San Vincenzo per confortare i moribondi. Non funzionò.

Bisogna essere realisti. La domanda sul perché del dolore innocente resta, l'enigma si abbatte su di noi ogni volta, e la diceria immortale su Dio è l'unica cosa interessante. Abbiamo bisogno, chierichetti ad honorem o gente alla Peppone allergica ai pater-ave-gloria, un don Camillo che parli da una chiesa dotata di crocifisso. Il grande Giovannino Guareschi mise in pagina, dinanzi al disastro dell'alluvione che tanti morti e sfollati provocò intorno al grande fiume, il Po, questo discorso di don Camillo. «La porta della chiesa era spalancata e si vedeva la piazza con le case annegate e il cielo grigio e minaccioso. Fratelli - disse don Camillo - le acque escono tumultuose dal letto del fiume e tutto travolgono: ma un giorno esse ritorneranno placate nel loro alveo e ritornerà a splendere il sole. E, se alla fine, voi avrete perso ogni cosa, sarete ancora ricchi se non avrete persa la fede in Dio...

Don Camillo parlò a lungo nella chiesa devastata e deserta e intanto la gente, immobile sull'argine, guardava il campanile...».

Siamo stanchi di tutto questo male. Le parole non bastano, nemmeno quelle dei preti. Ma quel Cristo silenzioso, l'Elevazione, le campane qualcosa forse dicono. O no?

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