Nessun rispetto per l'italiano

L'abuso della parola «cultura» si estende a qualunque attitudine fondamentale

Nessun rispetto per l'italiano

Non vorrei essere crudele, ma forse sarà utile. Alla Commissione Cultura della Camera dei deputati, un parlamentare grillino, Paolo Lattanzio, esprimendo il suo consenso alla risposta del sottosegretario Salvatore Giuliano a una interrogazione sulle «iniziative volte a contrastare il fenomeno delle aggressioni nei confronti del personale docente da parte degli studenti», ha evocato una fantomatica «cultura del rispetto».

Mi è sembrata una delle non infrequenti aggressioni alla lingua italiana, e ho cercato, inutilmente, di intervenire. I regolamenti parlamentari non ti consentono di difenderti dai continui sfregi che demagogia, retorica e luoghi comuni infliggono a concetti e ragionamenti. Cosa vuol dire «cultura del rispetto»? Il «rispetto» è un abito mentale, un modo di misurarsi con gli altri. Non c'è una «cultura della buona educazione», c'è la buona educazione. Non c'è una «cultura del rispetto», ma c'è il rispetto per gli altri e tanto più per chi ha il compito di educare. Semmai c'è il «rispetto della cultura». L'abuso della parola «cultura» si estende a qualunque attitudine fondamentale.

Così, siccome è opportuno fare ginnastica, si parlerà della «cultura della ginnastica»; siccome è necessario mangiare si parlerà della «cultura del mangiare». Ogni comportamento si trasforma in «cultura». Alcune manifestazioni dell'uomo, culturalmente rilevanti, resistono: non si parla, per esempio, di «cultura della religione». Rispetto, dunque, per la lingua italiana.

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