Non c'è più tempo

Un passo avanti, due indietro. Tocca persino citare Lenin per cercare di capire la logica della Ue.

Non c'è più tempo

Un passo avanti, due indietro. Tocca persino citare Lenin per cercare di capire la logica della Ue. Ogni volta che deve fare un salto, lo fa, come si è visto, ma dopo enormi fatiche, strappi e giusto solo quando si sta affondando. Quasi seguisse la brinkmanship, la teoria secondo cui riesci a rendere al meglio solo quando sei sull'orlo del precipizio - con il rischio, però, di finirci prima o poi dentro. Ci risiamo, infatti, con il prezzo del gas e con la crisi energetica. Sul cosiddetto Price cap la Commissione traccheggia, che è un po' tipico della burocrazia Ue, e nel mentre accontenta la Germania, che vuole fare da sola. Ma tempo non ve n'è, gli aumenti delle bollette sono già insostenibili e, secondo le previsioni, tenderanno ad esplodere.

Ci troviamo di fronte a un bivio, a una minaccia non inferiore a quella costituita dalla pandemia, che potrebbe avere esiti ancora più esiziali. Giustamente Draghi ha detto che «non possiamo dividerci a seconda dello spazio nei nostri bilanci nazionali». Come ai tempi della crisi dell'euro e di quella della pandemia, occorre che l'Unione Europea agisca. Occorre convincere la Germania, la cui leadership però è molto più appannata di quella di Angela Merkel. E occorre sbloccare il meccanismo burocratico della Ue. Questo lo si può fare grazie al credito che il governo Draghi, ai suoi sgoccioli ormai, ha lasciato e lascia, e che consentirebbe di creare un blocco con la Francia di Macron.

La strada della Ue è l'unica perseguibile per il nostro Paese: anche se si può pensare a qualche intervento stile Germania, il nostro debito pubblico è talmente abnorme che non potranno che essere palliativi. Chi, nel nuovo governo che si formerà, sia tentato da soluzioni per così dire autarchiche, è meglio che se le levi dalla testa perché, oltre a non risolvere la crisi energetica, ci renderebbero vittima della speculazione dei mercati internazionali. È quindi necessario che il governo Meloni, se come sembra sarà lei a guidarlo, sia, almeno sul versante geopolitico, il più possibile un «melodraghi».

Se Draghi si muove, in questi ultimi scampoli, per garantire il suo successore, il nuovo esecutivo dovrà essere affidabile, compatto: Meloni dovrà proseguire e portare a termine quello che Draghi ha impostato. Guai se, in nome di un anche condivisibile malumore nei confronti dell'attuale Commissione o della Germania, che sembra abbandonare l'europeismo quando i suoi interessi nazionali vengono in primo piano, ritornassero tentazioni sovraniste o euroscettiche, non così antiche, anzi ancora piuttosto presenti, come si è visto a proposito dei vaghi discorsi sull'«inserire il sovranismo in Costituzione».

Tutte astrazioni identitarie, comprensibili per carità, ma che in questo momento hanno solo l'effetto di condurci più rapidamente verso il baratro. Ma questo Meloni lo sa, visto che in serata ha ripetuto esattamente quasi le stesse parole di Draghi.

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