Non siamo un Paese per papà (che stanno a casa)

Non siamo un Paese per papà (che stanno a casa)

Il papà può prendersi un po' di giorni di congedo per stare più vicino al proprio figlio appena nato. Un provvedimento molto civile, non solo per la condivisione con la madre delle fatiche per far crescere nei primi mesi di vita il bambino, ma anche perché il papà incomincia così a essere subito chiamato alla responsabilità nella crescita di suo figlio. Un provvedimento così civile che, come tutto ciò che è molto civile, nasconde pericolose insidie. Incominciamo dal fatto che il papà deve chiedere al capufficio il periodo di congedo. Non è una decisione facile (come ovviamente non lo è per le donne): gli si spezza un ritmo di lavoro, s'insinua il timore che gli venga fatta qualche scorrettezza, non sa cosa trova al suo rientro. Insomma, insicurezze e paure superabili, che tuttavia possono passare in secondo piano se il papà è in una buona posizione nel suo ufficio. Per un dirigente, la sospensione dal lavoro per paternità è ancora più rischiosa del proprio impiegato: gli affari lo chiamano a decisioni continue e la delega è molto difficile. È inutile nasconderci dietro il dito dell'estrema civiltà di quel congedo: siamo davvero preparati socialmente e culturalmente ad affrontarlo? Confesso una cosa. Sono, per così dire, un papà diversamente giovane, che senza bisogno di leggi o leggine in proposito, quando è nato mio figlio mi sono preso tutto il congedo che volevo. Ma se io fossi stato un professore universitario di prima nomina, mi sarei comportato allo stesso modo? No. Avrei avuto paura che durante l'assenza il carissimo collega mi avrebbe fregato, eccetera eccetera. I padri hanno molta strada da dovere compiere per arrivare alla consapevolezza di un ruolo che è difficile da comprendere. Chi è il papà, oggi, una volta che, grazie al cielo, è stata sepolta la figura del padre padrone? Nello spazio aperto da quest'assenza, si è drammaticamente infiltrata la figura del «mammo». Naturalmente, nessun papà che collabora attivamente con la mamma ammette di essere quella detestata e umiliante figura del «mammo». Purtroppo, essa esiste, è molto diffusa proprio perché un papà non sa cosa fare, cosa essere in questa collaborazione con la madre. Sapete dove in un istante si riconoscono i «mammi»? Al supermercato. Guardate una mamma che impettita, sicura di sé passa per i corridoi del supermercato, prendendo a destra un pacco di omogeneizzati, a sinistra una confezione di pannolini, lasciandoli cadere dietro di sé, perché sa esattamente, senza doversi voltare, che il marito la segue spingendo il carrello della spesa. Adesso guardate il papà: spinge quel carrello con fatica come se dentro ci fossero pesantissime pietre che lui ha spaccato con le proprie nude mani.

Trafelato, ha lo sguardo perso nel vuoto: voi pensate che stia sognando spiagge caraibiche, bellissime donne in costume adamitico? No. Lui sta sognando l'ufficio: certo, perché almeno lì sa chi è, dà ordini, riceve ordini. Dura la vita dei papà in congedo per paternità: ma prima o poi anche noi papà ce la faremo, per amore della famiglia.

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