Coronavirus

Occhio al test sugli anticorpi: perché non si evita il vaccino

Un alto numero di anticorpi dopo sei o più mesi dalla vaccinazione completa non è indice di sicurezza: ecco qual è la posizione della scienza sui test sierologici e perché la terza dose va comunque fatta

Occhio al test sugli anticorpi: perché non si evita il vaccino

"Quanti anticorpi hai?" "Dopo il test sierologico che ho effettuato sul referto c'è scritto 4mila, e tu?" "Il mio organismo ne ha sviluppati di meno, sul referto c'è scritto che ne ho mille...". Quante volte sarà capitato negli ultimi mesi di confrontarsi con amici e conoscenti sul "numero" di anticorpi anti-Covid dopo la vaccinazione completa? È accaduto spesso, a maggior ragione adesso che per milioni di italiani è tempo di terza dose. L'errore da non fare, però, è quello di prolungare il momento del richiamo vaccinale se il test di laboratorio dice che l'organismo è ancora ben protetto: non è così.

Cosa dice il Ministero della Salute

Dopo l'aumento esponenziale delle richieste di test anticorpali nei laboratori privati, è intervenuto direttamente il Ministero della Salute a chiarire la questione. "Si ribadisce che l’esecuzione di test sierologici, volti a individuare la risposta anticorpale nei confronti del virus, non è raccomandata ai fini del processo decisionale vaccinale. Per tale motivo la presenza di un titolo anticorpale non può di per sé essere considerata, al momento, alternativa al completamento del ciclo vaccinale", si legge sul documento di agosto firmato da Gianni Rezza, Direttore Generale della Prevenzione sanitaria. Da qui il consiglio: se per curiosità personale si vuole sapere qual è stata la risposta immunitaria che si faccia pure il test, ma spendere decine di euro pensando poi di non fare il richiamo vaccinale se si hanno ancora molti anticorpi è del tutto sbagliato.

Cos'è il correlato di protezione

Ad oggi non esistono studi scientifici e risultati provati che dimostrino come, ad un certo numero di anticorpi, corrisponda poi una reale protezione dal Covid-19: questo perché non si conosce ancora il "correlato di protezione", che è il rapporto tra quella misura (i famosi mille o 4mila anticorpi) e l'immunità dal virus. Altra cosa fondamentale: non c'è alcun motivo per temere in chissà quali effetti collaterali se si fa la terza dose nonostante un livello alto di protezione, non c'è dimostrazione che possa essere pericoloso o rischioso; ecco perché i test sierologici di massa propedeutici alla terza dose non hanno molto senso. "Sulle strutture sanitarie ricadrebbe un carico di lavoro non giustificato dalle evidenze scientifiche – ha spiegato Walter Ricciardi a La Stampa - La terza dose prima o poi dovrà essere raccomandata comunque a tutti, anche sotto i 60 anni".

Quando può servire fare il test

Il dibattito, comunque, è aperto: se il Ministero dice di non fare i test, il primario di Malattie infettive all'ospedale San Martino di Genova, Matteo Bassetti, ha spiegato che "uno dei pochi casi in cui ha senso fare il test sierologico è per chi ha fatto la doppia dose di vaccino anti Covid e poi ha avuto il virus". Il motivo è duplice: da un lato perché, se si ha un surplus di anticorpi (tra vaccino e Covid), si può evitare di fare subito la terza dose; viceversa, se si fa parte della percentuale di "no responder", cioé persone che non sviluppano anticorpi, può essere comunque fondamentale fare quanto prima la terza dose nella speranza di avere una protezione anche minima, specie se si è fragili o immunodepressi. Favorevole anche l'infettivologo Massimo Galli, che sottolinea come gli studi su terza dose e richiami si fanno "misurando gli anticorpi, che sono un chiaro correlato di protezione in vari lavori scientifici accreditatissimi. Mi resta sempre sullo stomaco il fatto che con il servizio sanitario nazionale non si possa andare a misurare gli anticorpi gratuitamente ai pazienti".

Cosa dicono gli esperti

A parte queste eccezioni, in tutte le altre situazioni è inutile fare il test: la terza dose dovrà essere fatta da tutti o il virus vivrà per chissà quanto altro tempo ancora. "Piuttosto bisogna calcolare il tempo trascorso dalla seconda, che riflette il valore dell’efficacia del vaccino basato sulla statistica epidemiologica", ha spiegato il virologo Fabrizio Pregliasco, in linea con quanto affermato dall’immunologo Sergio Abrignani, membro del Cts. "I test sierologici non possono essere utilizzati per prendere alcuna decisione medica, come prolungare il Green Pass o fare la terza dose. Ci si basi sui dati di efficacia vaccinale". Nicola Magrini, Direttore dell'Aifa, ha spiegato che il meccanismo è molto complesso e riguarda anche le cellule T, quelle di lunga memoria, che potrebbero intervenire in ogni caso se dovesse esserci l'infezione perché garantiscono una protezione più a lungo termine. Contrario Roberto Burioni, il quale ha sottolineato come sia impossibile determinare il livello di protezione dal Covid tramite il test.

Cosa succede in Svizzera

L'unico Paese europeo dove un test sierologico che dimostri gli anticorpi anti-Covid presenti nell'organismo dà diritto al rilascio di un certificato Covid simile al green pass è la Svizzera: nonostante non sia un meccanismo riconosciuto dall'Ue, se viene accertata la presenza di una buona protezione, gli elvetici hanno il diritto di partecipare a qualsiasi manifestazione e andare ovunque (nel loro territorio) per 90 giorni con possibilità di rinnovo.

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