L’estate sta finendo: dove sono i tormentoni?

Canzoni tutte uguali, ricerca della viralità con gli algoritmi e banalità: nemmeno quest'anno gli italiani hanno incoronato la canzone dell'estate. Ridateci il Festivalbar

L’estate sta finendo: dove sono i tormentoni?
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Dove sono i tormentoni estivi? Dove sono finite le canzoni che da maggio venivano trasmesse senza soluzione di continuità e che ci si ritrovava a canticchiare in qualunque momento della giornata quasi senza rendersene conto? L'estate 2025, ma anche quella del 2024, non ci hanno regalato la loro canzone simbolo. Gli artisti hanno smesso di cercare spasmodicamente il successo estivo? Agli italiani non interessa più il tormentone? La prima è da escludere, perché sono tanti i cantanti che anche quest'anno ci hanno provato a produrre una canzone tormentone, ma non ci sono riusciti.

Gli italiani non vogliono più i tormentoni, allora. Ma nemmeno, perché quando i Gazosa cantavano "Www.mipiacitu" o Er Piotta era in tutte le radio con "Supercafone" non hanno certo chiesto il parere degli italiani. Non è che un intero Paese si sia svegliato una mattina con un'impellente voglia di ballare "Asereje", per altro senza nemmeno capirne una parola, come se fosse un rito di iniziazione in qualche gruppo segreto. La si ballava ovunque, in ogni spiaggia e in ogni ristorante, in qualunque festa e c'è mancato poco che si organizzassero pure i flash-mob: se fossero esistiti ci sarebbero stati pure quelli. Quindi non c'entra la volontà degli italiani: quella non c'è mai stata.

Allora mancano le idee? Forse, e non c'è più la magia dell'estate, manca il Festivalbar. Gli italiani ascoltano ancora la radio ma non riescono a farsi coinvolgere. I cantanti ci provano, certo, ma sembrano tutti usciti dallo stesso stampino: ritmi simili, coreografie preconfezionate e testi banali che in alcuni casi sono copie sbiadite di successi del passato, ma senza averne l'anima. "Sole, cuore, amore" non è che fosse un capolavoro musicale inarrivabile ma ha scandito un'intera estate senza colpo ferire e ancora oggi bastano due accordi perché torni in mente. Il risultato dell'appiattimento delle canzoni è una stagione anonima, una sfilza di brani usa e getta che nessuno ricorderà a settembre. E che molti non conoscono nemmeno oggi. In questo mare di uniformità, gli italiani si rifugiano nelle playlist, nelle canzoni del cuore. Con buona pace di produttori e cantanti che ormai sfornano brani solo per entrare in classifica, sfruttando gli algoritmi per ottenere la viralità.

Ma il tormentone non si crea in laboratorio, non lo produce un algoritmo e non lo suggerisce un'agenzia di marketing. Il tormentone arriva senza rendersene conto, quando il ritmo giusto e le parole giuste si incontrano nel momento perfetto.

E forse, proprio per questo, non lo vedremo più, perché nell'era del tutto controllato e pianificato, manca lo spazio per l'inaspettato, per quel colpo di genio musicale che stravolge un'estate, che odi e ami allo stesso tempo, che non sopporti ma non puoi fare a meno di cantare. I tormentoni sono solo un ricordo? Forse, e ci mancano. Inaspettatamente. Come il Festivalbar.

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