Opere e omissioni

L'ultimo "no" del Pd, o meglio della sinistra tutta, è al Ponte di Messina

Opere e omissioni

L'ultimo «no» del Pd, o meglio della sinistra tutta, è al Ponte di Messina. Un «no» paradossale perché da una parte scommette che la grande opera come in altre occasioni rimarrà un sogno, dimenticando che chi l'ha fatta arenare l'ultima volta sono gli stessi che oggi gridano al bluff. Dall'altra, invece, nasce dalla convinzione che sia inutile, visto che le ferrovie in Sicilia non funzionano, che in Calabria non c'è un aeroporto degno di questo nome, che l'Autostrada del Sole nel j'accuse di quei mondi è ancora ferma ad Eboli. Solo che quel pezzo di Paese è da 60 anni in queste condizioni senza il ponte e, magari, la realizzazione della più grande infrastruttura mai pensata in Italia potrebbe dare impulso alle altre opere.

Questo «no» condito di tante chiacchiere fa sorgere il dubbio che il problema della sinistra non sia il ponte sullo stretto di Scilla e Cariddi, ma una questione ben più profonda. Un limite culturale atavico e che in futuro si aggraverà per l'alleanza che il nuovo corso del Pd vuole stipulare a tutti i costi con l'ambientalismo ideologico dei 5S. È altamente probabile, infatti, che il nuovo connubio sarà alimentato da una sorta di pregiudizio, di oscurantismo verso le grandi opere che rischia di rallentare l'Italia come in passato.

Eh sì, perché il rapporto tra la sinistra comunista e post-comunista e le grandi opere è una lunga storia di «no». Un'avversione che affonda le sue radici nel tempo. Milano ne è stato uno spaccato significativo. Il Pci addirittura era contrario alla metropolitana perché roba da ricchi, per i proletari suggeriva il tram. Un'altra idiosincrasia l'hanno provata anche verso i grattacieli, sempre per una sorta di pauperismo architettonico. Poi il Pci negli anni ha cambiato nome, ha assunto sigle diverse, ma quel fastidio verso il ferro e il mattone non è venuto meno: CityLife e l'Expo sono stati realizzati malgrado i tradizionali «no» che arrivavano da quel versante. Nel tempo la situazione è peggiorata: il multiforme mondo di sinistra sempre più in sintonia con l'ambientalismo «hard» grillino ha osteggiato anche la Tav, il Muos in Sicilia (il sistema satellitare americano), il Tap contro il quale è sceso in campo anche il governatore pugliese Emiliano. E di nuovo una sorta di guerriglia ideologica ha rallentato il Mose, cioè quella serie di dighe che in autunno ha impedito a Venezia di essere sommersa. Non è finita: sempre l'ambientalismo ottuso di una certa sinistra ha messo il bastone tra le ruote alla Metro C di Roma, al Terzo Valico, alla Gronda di Genova, alla Pedemontana. Mentre il termovalorizzatore di Roma va ancora a rilento per le divisioni tra i grillini e il Pd di Gualtieri.

Insomma, il no al Ponte è solo il nuovo punto di incontro fra tutte le anime della sinistra: quelle che lo contrastano perché animate da un ambientalismo becero; e quelle che lo sabotano perché intravvedono nella sua costruzione un successo dell'attuale governo e della sua formula politica.

Si tratta quindi di un «no» squisitamente ideologico che rischia di ratificare l'egemonia grillina: Beppe Grillo sarà pure al tramonto, ma a saldare l'idea della decrescita felice come alternativa al progresso a quanto pare ci pensa la sinistra.

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