Cronache

"Venditore" e "tecnico" sono sessisti: annunci di lavoro nel mirino

L'ultima deriva dei difensori del "linguaggio inclusivo". Cng ed Euros denunciano i titoli degli annunci di lavori declinati solo al maschile, arrivando a dire che sono "fuori legge"

"Venditore" e "tecnico" sono sessisti: annunci di lavoro nel mirino

Continua lo tsunami dei paladini della lingua inclusiva. Questa volta a finire nel mirino sono gli annunci di lavoro, che sarebbero diventati sessisti. A dichiararlo è il Consiglio nazionale dei giovani (Cng), in collaborazione con Eures, che in un rapporto denuncia il fatto che il titolo e il testo degli annunci declinano nella maggior parte dei casi solo al maschile il profilo richiesto.

Il termine ‘addetto’ è declinato al maschile nel 75% dei casi, come operatore e venditore”, si legge, sottolineando che l’unico termine al femminile è “segretaria”. Una società di frustrate segretarie, quindi, in un mondo che vuole il genere femminile dietro a una scrivania a eseguire gli ordini dei capi, rigorosamente maschi: questo si deduce dal documento. “Le donne sono costrette a fare i conti con la discriminazione di genere fin da subito, negli annunci di lavoro, in cui la declinazione al femminile non viene quasi mai utilizzata, se non per mansioni come segretaria”, afferma infatti Maria Cristina Pisani, presidente Cng.

L’argomento non è nuovo, anzi è all’ordine del giorno e si sparge a macchia d’olio su tutti i temi possibili e inimmaginabili. In realtà le contraddizioni sul tema sono molte: se da una parte si crede - e si pretende - di poter dare dignità al genere femminile attraverso il cambio di una lettera, dall'altra non c'è nessuna remore nello stigmatizzare come troglodita e non attento alle tematiche sociali tutti coloro che non sono allineati al pensiero. Sembrerebbe l'ennesima dimostrazione di un trasformismo che si rivela solo una presa di posizione.

Ma non è finita: Pisani si spinge oltre sostenendo che i semplici annunci sono addirittura fuori legge, citando la norma 903/77 che “vieta qualsiasi forma di discriminazione nell’accesso al lavoro anche nei requisiti di preselezione”. Suggerendo quindi che la semplice denominazione di un mestiere sia un criterio di selezione per accedere al posto di lavoro. Ma la legge italiana, come dimostrato, prevede già una norma a tutela dei lavoratori indicando tutte quelle caratteristiche e peculiarità che un candidato deve avere per un determinato mestiere, che devono essere - ovviamente - non discriminatorie sotto nessun punto di vista, anche dal punto di vista del genere.

A prescindere dalle iniziative campate in aria, quindi, la situazione è ben più complessa di quello che sembra: la degenerazione di questo fenomeno che mira all’apparenza ma che pecca nella sostanza rischia, in primis, di non portare frutti all’oggettivo male della discriminazione che la nostra società vive quotidianamente. La confusione è tale che la realtà dei fatti viene troppo spesso offuscata dalla fuffa di battaglie che, come fuochi di paglia, si spengono e non fanno accendere i riflettori sui problemi reali.

I problemi discriminatori ci sono, è innegabile, le norme che cercano di arginare il fenomeno anche: questa è la realtà dei fatti. Sminuire il genere maschile non significa necessariamente portare il ruolo della donna a un livello di parità.

Tanto più se questa parità deve passare per forza da un cambio della lingua italiana.

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