Il vero pericolo in cui incorre la nostra modernità è la negazione delle differenze, presupposto di un nichilismo che porta a relativizzare tutti i valori. Relativizzare significa l'assenza della gerarchia: la base e il vertice si confondono, non hanno differenza. Un semplice esempio: guardate quell'erba che cresce in abbondanza sul greto dei canali d'irrigazione, dove l'acqua è quasi ferma, stagnante. La strappate e vi accorgete che in essa non c'è differenza tra la sua sommità e la radice. È il fenomeno del rizoma.
La pandemia del coronavirus ha reso attuale questo fenomeno, esaltando un egoismo di difesa: non ci sono differenze, soltanto la mia esistenza va salvaguardata. Il Papa nella sua omelia ci ricorda il valore della differenza, il rispetto del volto dell'altro, quel rispetto che ci obbliga alla responsabilità. Sono le radici che danno la vita all'albero: chi non le riconosce, chi vive nel relativismo del rizoma, uccide la vita. Nella sua omelia, il Papa ci richiama al rispetto di quel volto che genera vita, al volto degli anziani, a quelle radici che sono il fondamento della vita.
E a chi si rivolge innanzitutto il pontefice per domandare il rispetto di quelle radici e comprenderne il valore? All'altra parte, a quella estrema, fragile come le radici che se non sono rispettate si seccano: ai giovani, perché i giovani vivono nel disincanto del mondo, supponendo che tutto sia loro permesso... perché giovani.
Il Papa invita i giovani al rispetto di un volto che ha i segni del tempo, che in quei segni presenta le tracce della storia. La vera infedeltà è dimenticare: allora tutto e il contrario di tutto si equivalgono, la pienezza e il nulla non hanno più differenza. Nei giovani deve esserci il dovere della responsabilità, quella di rispettare la memoria dei volti segnati dal tempo: la loro origine, la loro storia. Quando nel cammino della vita si è colti dall'incertezza sulla strada da seguire, è la conoscenza della storia che aiuta ad orientarsi. La rappresentazione vivente di questo orientamento sono gli anziani.
Ma i giovani hanno bisogno di trovare nei loro genitori, nei loro maestri di scuola il richiamo al rispetto dei loro nonni. Il Papa può solo suggerire; il messaggio deve essere raccolto, prima che altrove, dalle famiglie. La famiglia è all'altezza di questo compito educativo?
Le terribili cronache della pandemia dovrebbero rendere scettici chi ritiene fondamentale l'educazione familiare proprio per rispettare il tracciato della tradizione. Ci si metta una mano sulla coscienza: quanti sono gli anziani lasciati nelle case di riposo che potevano invece stare in famiglia? Quante lacrime di coccodrillo sparse da chi, trovando ingombrante la presenza in famiglia dei propri anziani, li spedisce nelle case di riposo dove hanno trovato la morte.
In questa società che esalta la
competizione ad oltranza, gli anziani sono un fastidio, vanno allontanati, così come la morte deve essere nascosta: rappresentano lo scandalo di un'inaccettabile differenza, a cui non si riserva neppure una briciola di pietà.
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