La mini-Lega sulla strada di un esecutivo politico

Salvini vuole fare il ministro. No di Pd e Leu: allora meglio un governo tecnico. Draghi duro: "La sintesi la faccio io"

La mini-Lega sulla strada di un esecutivo politico

Esercita l'arte della pazienza, Mario Draghi. E già guarda a un secondo giro di consultazioni a inizio settimana, nell'attesa che possano finalmente decantare le troppe asperità che il premier incaricato ha incontrato in questi primi giorni di colloqui con i partiti. Quelli ufficiali con i gruppi parlamentari alla Camera e quelli ufficiosi e paralleli, in diverse telefonate avute con tutti i leader politici. Sul fatto che il suo governo nascerà non c'è ovviamente alcun dubbio. Il punto è solo il perimetro politico della maggioranza che lo sosterrà e, a cascata, la scelta di fare entrare o no esponenti politici nella squadra dell'esecutivo.

Questione per certi versi dirimente e sulla quale, non a caso, l'ex presidente della Bce non si sarebbe pronunciato durante le consultazioni nella Sala della Regina di Montecitorio. Sarebbe stato meno riservato, invece, nei colloqui telefonici avuti con i vertici dei partiti. Almeno stando a quanto riferito in queste ore da Giancarlo Giorgetti a Matteo Salvini: Draghi vorrebbe un esecutivo politico in cui entrino i leader. Il premier incaricato insisterebbe affinché il Carroccio sia della partita. Non solo perché «è il primo partito del Paese» e per il peso che ha sul mondo imprenditoriale del Nord, ma anche per spezzare l'asse sovranista ed evitare di ritrovarsi con il binomio Lega-Fdi all'opposizione, pronti a sparare alla prima difficoltà. Parole e ragionamenti che sembrano aver convinto l'ex ministro dell'Interno a mettersi in gioco in prima persona. Salvini, infatti, sarebbe prontissimo a fare il ministro. Circostanza, questa, che - per usare un eufemismo - ha mandato ai pazzi sia il Pd che Leu.

Una cosa, infatti, è una «maggioranza Ursula» con dentro Forza Italia, altra un perimetro in cui rientri anche la Lega. Nel primo caso i dem sarebbero disposti ad un governo politico, nel secondo preferirebbero la via dei tecnici d'area. Non certo un esecutivo dei leader come ipotizzato da Draghi, perché per Nicola Zingaretti è impensabile sedersi in Consiglio dei ministri al fianco di Salvini. Sul punto il Pd sarebbe stato piuttosto chiaro durante le consultazioni di ieri, facendo presente a Draghi che la fiducia per far nascere il governo non è in discussione ma che se non ci sarà una «omogeneità» di progetto politico e di programmi i dem entreranno solo con tecnici d'area. Indebolendo quindi sul nascere il governo Draghi. L'ex governatore della Bce non deve averla presa benissimo, se è vero che la sua replica è stata piuttosto tagliente: «La sintesi la faccio io, poi voi farete le vostre valutazioni e mi direte se è ripugnante o meno». Sì, pare abbia proprio usato il termine «ripugnante», probabilmente con una certa vis polemica. D'altra parte, il Pd non è nelle condizioni di porre veti o condizioni, essendo corresponsabile del naufragio del Conte 2. Lo sanno bene anche a largo del Nazareno, dove qualcuno ironizza così sul segretario dem: «Dopo la gestione di questa crisi, Nicola è a 90 draghi».

Oggi, toccherà alla delegazione della Lega incontrare il premier incaricato. Ma quasi certamente non sarà un passaggio decisivo e il quadro resterà ancora incerto. Certo, un sostegno del Carroccio al futuro governo sarebbe un passaggio epocale. Intanto perché spaccherebbe il fronte sovranista, lasciando solo Fratelli d'Italia fuori dalla partita. Giorgia Meloni, infatti, non appoggerà il governo e valuterà se votare contro la fiducia o astenersi anche in funzione delle scelte di Salvini. Una posizione sulla quale è riuscita alla fine a trovare una sintesi nel partito, se pure un moderato come Raffaele Fitto dice di «condividere pienamente» la «scelta di coerenza» della Meloni. Ma se la Lega dovesse davvero sostenere Draghi, andremmo comunque incontro ad una vera e propria rivoluzione all'interno del Carroccio.

Sia che Salvini finisca per non riuscire a vestire i panni del responsabile filo-europeista, come sostiene chi pensa che in un anno al governo con Draghi finirebbe per essere «normalizzato» e poi scaricato da Giorgetti e Luca Zaia. Sia che riesca in pieno nell'operazione di legittimazione politica, che lo porterebbe ad archiviare l'era del Papeete proponendosi alle prossime elezioni come un leader affidabile.

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