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Il Pd processa il premier: "Non può fare il burocrate"

Quanto è labile la politica se solo quattro mesi fa Nicola Zingaretti celebrava pubblicamente Giuseppe Conte arrivando a definirlo "il punto di riferimento di tutte le forze progressiste"

Il Pd processa il premier: "Non può fare il burocrate"

Quanto è labile la politica se solo quattro mesi fa Nicola Zingaretti celebrava pubblicamente Giuseppe Conte arrivando a definirlo «il punto di riferimento di tutte le forze progressiste». Una quasi investitura. Che, come del resto buona parte del Paese, è finita travolta dallo tsunami del Covid-19. Oggi, infatti, i rapporti tra il Pd e il premier si sono di molto complicati. Colpa del Mes e non solo. Uno sfilacciamento che ieri si è trasformato nel timore concreto di essere risucchiati nel vortice di polemiche, dubbi e scontento che ha seguito l'annuncio di una «fase due» che in realtà è ancora lontana. Dopo una settimana in cui dal governo filtrava una certa disponibilità a una corposa ripartenza dal 4 maggio, domenica sera il premier ha gelato gli entusiasmi di molti illustrando una «fase due» dove tutto resta sostanzialmente invariato. Attirandosi contro le critiche non solo delle opposizioni (che non sarebbe una novità), ma anche di decine e decine di associazioni di categoria. Per non parlare delle perplessità di una corposa parte della cittadinanza che non pare aver compreso un messaggio che è risultato piuttosto contraddittorio: si parte con la «fase due», ma fatta eccezione per qualche dettaglio per i cittadini non cambia nulla. Senza dire del pasticcio sui «congiunti» che sì, si possono andare a trovare. Dopo una giornata di precisazioni, infatti, pare che per «congiunti» s'intendano pure fidanzati e compagni di fatto, quindi praticamente chiunque.

Questa gigantesca confusione che in meno di dodici ore ha saldato l'esercito degli scontenti - in prima fila la Cei per la proroga del divieto a celebrare messe - rischia seriamente di compromettere la tenuta di un Paese che per quasi due mesi ha risposto con grande senso di responsabilità al lockdown. Con il timore di fughe in avanti dei singoli che diventa pericolo concreto.

Un quadro, questo, che ieri mattina è stato oggetto di una videoconferenza tra i vertici del Pd. Il segretario Zingaretti, il suo vice Andrea Orlando e il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri si sono confrontati sui prossimi passi e hanno fatto sapere di auspicare per il futuro «un'anima politica» alla nuova fase che si apre «in un contesto drammatico». Un modo gentile per invitare il premier ad un deciso cambio di marcia, a non essere - fa notare un ministro dem di peso - «soltanto un burocrate». Un assedio strisciante, che dopo lo scontro all'arma bianca sul Mes e le forti perplessità di molti big del Pd sulla gestione troppo accentratrice di questa crisi da parte di Conte, rischia di non essere senza conseguenze di qui ai prossimi mesi.

Certo, va anche detto che è soprattutto il premier a mettere la faccia su questa crisi. Mentre poco o nulla - a parte il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia - si espongono le altre prime file del Pd. Come va detto che Conte ha scelto di seguire le indicazioni del Comitato scientifico che, su qualsiasi ipotesi di maggior apertura rispetto alla fase «uno e mezzo» annunciata domenica, prospettava scenari drammatici (con l'indice di contagio R0 che sarebbe tornato sopra quota 1). Il punto, forse, è che sarebbe stato meglio dire tutto questo con più chiarezza, invece che restare nel generico alimentando false aspettative prima e grande confusione poi. E il caso delle funzioni religiose è il paradigma del caos che si è scatenato dopo la conferenza stampa di domenica scorsa. La Cei, infatti, non ha gradito il prolungamento dello stop. E lo ha fatto sapere con tanto di presa di posizione pubblica. A cui è seguito un messaggio piuttosto tranchant recapitato in via informale a Palazzo Chigi: «Il governo ha violato il Concordato tra la Santa Sede e lo Stato italiano, visto che queste decisioni dovrebbero essere prese d'accordo con la competente autorità ecclesiastica. Cosa che non è accaduta». Una bomba, soprattutto considerando i rapporti tra Conte e il Vaticano. Per non dire del fatto che l'esecutivo giallorosso è nato anche grazie alla benedizione della Chiesa. Non è un caso che il premier stia già valutando di riconsiderare lo stop. Si è inizialmente ipotizzato che le messe potessero riprendere dal 18 maggio (un lunedì). Poi dall'11 (sempre un lunedì). Ma già ieri sera si ragionava sulla possibilità di anticipare al 10 maggio.

Che, non è un dettaglio, è una domenica.

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