Il peccato Capitale della Procura

Il peccato Capitale della Procura

Non credo alla giustizia, e ai ricorrenti teoremi dei magistrati, quando sono fuffa autocelebrativa. Credo alle inchieste sui fatti. Roma è una procura meno importante di Palermo, Caltanissetta o Reggio Calabria, perché non c'è la mafia. È sede disagiata, marginale per un magistrato. E allora bisogna inventare «Mafia capitale», e l'aggravante mafiosa per carri funebri e coriandoli dei Casamonica, e per la testata di Spada. Poi maxi-indagine per lo stadio. Arrestati generosi imprenditori prima di aver avuto qualunque favore, così, per spolvero. Indagati il soprintendente Francesco Prosperetti e il capo dell'ufficio legislativo Paolo Carpentieri. Colpevoli certamente d'altro. Come il rifiuto, nonostante le segnalazioni e la documentazione offerta da Italia Nostra e da me, di vincolare il Villino Naselli del 1932, prossimo al quartiere Coppedè. Distrutto, abbattuto, a riprova di un'azione criminale e mafiosa. Il ministro, come Ponzio Pilato, ha lasciato agire i suoi funzionari infedeli. Ma la magistratura, che poi li ha incolpati per lo stadio, era stata avvisata, quando era ancora possibile intervenire.

E mentre ha condotto l'inchiesta spot sullo stadio - per fortuna naufragato - non ha fatto nulla per impedire la distruzione di un edificio storico, perché un costruttore rapace edificasse un mostruoso condominio. Il procuratore Pignatone tornato eroe antimafia e i suoi sostituti, con cui ho più volte parlato, non hanno fatto nulla, manifestandosi complici imbelli di una devastazione annunciata. Perché? Perché? Perché?

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