Esprimere un giudizio su un Papa è sempre difficile. Governare un'istituzione millenaria e globale come la Chiesa ti espone a mille valutazioni e a mille contraddizioni. Figurarsi poi su una personalità complessa come quella di Benedetto XVI, un Pontefice «conservatore» ma nello stesso tempo «rivoluzionario» nell'epoca del «politically correct» e della «cancel culture». Il custode della dottrina, di una professione della fede orgogliosa, non «tiepida» ma decisa non può non cozzare, infatti, contro l'ipocrisia e il compromesso che caratterizzano i tempi che viviamo. Lo dimostra quella scelta di dimettersi dal soglio di Pietro senza il timore che fosse equivocata (qualcuno addirittura la paragonò alla fuga dalle proprie responsabilità di Celestino V), solo per garantire alla Chiesa un magistero più energico in un momento difficile. Non un gesto dettato dalla paura, quindi, ma al contrario dal coraggio.
Un Pontefice capace di navigare «controcorrente». Costi quello che costi. Fedele al «non abbiate paura» di Papa Wojtyla di cui fu il degno successore e continuatore. Un conservatore al passo con la Storia. Che sceglie il nome di Benedetto, cioè del patrono dell'Europa, proprio per rivendicare le «radici cristiane» dell'Unione dei Paesi del vecchio continente, un elemento identitario che, sembrerà strano, ancora oggi continua a far discutere ed è elemento di discordia nel Parlamento di Strasburgo. Oppure che ha l'ardire nell'epoca della retorica «buonista» senza limiti e confini di teorizzare «il diritto a non emigrare».
Un osare che Ratzinger ha pagato al punto di essere messo all'indice da una certa cultura di sinistra che scambia la religione per un argomento di polemica politica: la lettera con cui sessantasette docenti universitari della Sapienza di Roma impedirono al Papa di aprire l'anno accademico 2007-2008 resta un'offesa, potrà sembrare paradossale, proprio alla laicità dello Stato. Per non parlare delle ombre gettate sul suo pontificato dallo scandalo della pedofilia nel clero, quando di contro fu proprio il Papa sotto il quale la Chiesa espulse il maggior numero di prelati che si erano macchiati di questo peccato.
Tutto ciò trasforma Benedetto XVI in un martire sul patibolo delle nuove ideologie che si sono imposte nel presente.
Lo rende scomodo alla cultura prevalente in questo secolo in cui salvaguardare il legame con il passato, con una fede che non accetta compromessi è una colpa imperdonabile. E lo rende nostro. Papa Francesco ci perdonerà, ma nell'epoca dei due Pontefici, Papa Ratzinger era il nostro.
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