Quel pranzo con Caprotti alla mensa dei dipendenti

Una giornata con il patron di Esselunga, scomparso all'età di novata anni. "Era già anziano ma gagliardo. Ma era un uomo". Il ricordo di Alberto Mattioli

Quel pranzo con Caprotti alla mensa dei dipendenti

"Perché non viene a trovarmi con il suo direttore?". È iniziato così quello che sarebbe stato un pranzo alla mensa dei dipendenti dell'Esselunga. L'invito veniva direttamente da lui, Bernardo Caprotti, patron della fortunata catena italiana di supermercati,scomparso 24 ore fa. Destinatari della proposta Alberto Mattioli e l'ex direttore de La Stampa Mario Calabresi.

L'invito a pranzo

Invito accettato immediamente, d'altronde, come sottolinea Mattiolini, "convinti di portare al giornale un’intervista a Bernardo Caprotti che non ne dava mai". I due si dirigono a Limito di Pioltello, sede principale dell’Esselunga. Qui vengono accolti, come riportato su La Stampa nelle "tipica imitazione milanese dell’America produttiva: capannoni e rotonde, rotonde e capannoni, e in mezzo gente in macchina intenta ad andare al lavoro o a tornare dal lavoro".

Caprotti compare a due giornalisti, "già anziano ma sempre gagliardo". Ma subito gli avvisa, nessuna intervista, solo una conversazione "off the record". Insomma, non si registra né si scrive nulla. Segue un invito a colazione e la precisazione che "i comunisti gli volevano impedire di fare il suo mestiere". Quello che avevano davanti, come sottolineato da Mattioli nel suo pezzo sul quotidiano con sede a Torino, era un "capitalista della vecchia scuola, un padrone delle ferriere senza indulgenze per nessuno, nemmeno sé stesso".

Dalla colazione al pranzo. Nessun ristorante stellato: "andammo a pranzo in mensa, insieme con i dipendenti, con l’unico modesto lusso di una tavola a parte e del cameriere e mangiando solo prodotti Esselunga perché, come mise subito in chiaro, 'io assaggio tutto quello che vendo'. Scherzando, pure. 'Le piace questo paté?'. Sì, non male, grazie. ìL’ha fatto mia moglie', ah ah ah'", ricorda Mattioli.

Ad accompagnare il cibo, una conversazione sulle vicissitudini di falce e carrello, il suo libro denuncia sull’intreccio fra grande distribuzione e amministrazioni locali di sinistra, allora al centro di una complicata battaglia giudiziaria. Ma non solo lavoro. Anche i ricordi di una vita: "lui di buona famiglia imprenditoriale lombarda spedito dal padre negli Stati Uniti più o meno all’epoca della presidenza Truman: doveva occuparsi di industria tessile, il business di famiglia, e invece scoprì che là esistevano degli strani grandi negozi chiamati supermercati". Poi i giudizi Berlusconi e la Grecia: lì passava tutte le estati, un luogo che gli piaceva moltissimo. Nessuna parola sulle risse giudiziarie con i figli. "Analizzava le malefatte di governi, partiti e sindacati con la spassionata chiarezza di chi non se ne aspetta nulla di buono. Era duro ma lucido.

E si capiva (ipotesi poi confermata parlando con chi lavorava con lui) che non chiedeva ai dipendenti niente che non avrebbe fatto lui".

Mattioli chiosa racchiudendo l'essenza di quel cavalier che noon avrebbe più rivisto: "Era di quelle persone che non si dimenticano. Magari era un uomo difficile. Ma certamente era un uomo".

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