Giuseppe Conte è sempre più solo. Premier di un governo che ormai è fatto di assenze. Quella di Matteo Salvini, che sceglie di non voler mettere la faccia sul cosiddetto Russiagate e, come previsto, non si fa vedere nell'aula di un rumoroso Senato durante l'informativa del presidente del Consiglio. Ma anche quelle dei parlamentari del M5s, che prima escono alla spicciolata dalla Camera durante il question time di Conte e poi decidono in blocco di non presentarsi a Palazzo Madama mentre il premier si prodiga in una ben ponderata difesa del ministro dell'Interno sui presunti finanziamenti di Mosca alla Lega. Una scelta niente affatto casuale, dettata direttamente da Luigi Di Maio in polemica con la decisione di Salvini di non essere presente in Senato. Il tentativo di far rialzare la testa a un M5s che dopo aver calato le braghe sulla Tav è ormai solo un simulacro senz'anima del Movimento delle origini.
Una giornata, quella di ieri, che certifica come e quanto Conte sia ormai diventato una sorta di equilibrista che cammina sul filo con il solo obiettivo di rimanere in piedi. Tenere in vita il governo, questo è il suo scopo. E con un colpo pro Tav, una frenata sull'autonomia e una difesa obbligata di Salvini sul Russiagate ci sta riuscendo. Pagando il conto del suo ruolo di agnello sacrificale alla poltrona della presidenza del Consiglio. Perché ieri, in un Senato acceso come non lo si vedeva da tempo, ha preso schiaffi da tutte le parti. Da Salvini che non si è presentato, perché ha detto a sera in diretta Facebook - «questa è stata una bella giornata in cui mi sono occupato di cose concrete». Da Di Maio che pure lui in diretta social ha confermato che i senatori M5s non erano in aula perché «a riferire sulla questione russa doveva andare qualcun altro». E dal Pd, che ha messo sotto accusa Conte e presentato una mozione di sfiducia a Salvini. Lui, solo insieme ai ministri Riccardo Fraccaro e Giulia Bongiorno e in compagnia di ben 13 sedie vuote nei banchi del governo, ha incassato con fatica. Zero sorrisi di circostanza e un fastidio misto a irritazione che era difficile non cogliere.
Che poi abbia preso a male la scelta del M5s di disertare l'aula, che l'abbia fatto presente al ministro dei Rapporti con il Parlamento Fraccaro che si è premurato di avvertire Di Maio e che infine abbia fatto una sfuriata al capogruppo grillino Stefano Patuanelli è cosa che lascia il tempo che trova. La sostanza è la difesa di Salvini, discreta ma netta. Con i due vicepremier che continuano a muoversi come fossero leader dell'opposizione.
D'altra parte, Salvini e Di Maio giocano in tandem. Tutti e due fanno la guerra a Conte, con tanto di diretta Facebook in contemporanea poco prima di cena. E tutti e due se la prendono con i media, come se non stessero a Palazzo Chigi ormai da un anno e passa. Di Maio ce l'ha con l'informazione che «ci attacca ogni giorno». Salvini con «i giornaloni e la Rai» che «ce l'hanno con noi». Insomma, di lotta e di governo. Conte premier dell'establishment e Di Maio e Salvini solo incidentalmente vicepremier paladini delle ragioni del popolo.
Nell'entourage di Conte c'è chi sostiene che il premier abbia superato la soglia di sopportazione. Che sia davvero così è difficile a dirsi, visto che fino ad oggi s'è fatto concavo e convesso ad ogni occasione. Però è vero che ieri ci ha tenuto ad aprire il suo intervento in Senato dicendo che «ove mai dovessero maturare le condizioni di una cessazione anticipata» dell'incarico a Palazzo Chigi sarebbe pronto a ripresentarsi in Parlamento. E forse è a questo affondo che si riferiva il portavoce del premier Rocco Casalino quando, prima di entrare nelle tribune del Senato da cui assistere all'intervento, annunciava imminente «una bomba» del premier. Che Salvini ha subito rispedito al mittente. «Se qualcuno pensa ad altre maggioranze e giochetti di Palazzo si sbaglia», ha replicato il leader della Lega. Parole che non sarebbero piaciute troppo a Conte. «Se non vi vado bene, sappiate che dopo di me c'è solo Salvini premier», si sarebbe sfogato in privato a tarda sera il presidente del Consiglio.
In verità, oggi il governo pare sempre più saldo.
Perché un esecutivo così traballante che riesce comunque e sempre a trovare la «quadra» forse è molto più stabile di quanto lo si immaginava. Scavallata la Tav e il Russiagate, infatti, non si vede perché Salvini e Di Maio non debbano trovare un punto d'incontro anche in autunno sulla legge di Bilancio.
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