"Prostituirsi è un diritto costituzionale": i giudici di Bari contro la legge Merlin

Per la Corte d'appello di Bari quello di vendere liberamente il proprio corpo è un diritto tutelato dalla Costituzione per le escort

"Prostituirsi è un diritto costituzionale": i giudici di Bari contro la legge Merlin

A sessant'anni dalla sua approvazione, la legge Merlin - quella che chiuse le case di tolleranza e stabilì le pene per chi sfrutta la prostituzione - ha ormai fatto il suo tempo: perché nel mercato del sesso sono comparse nuove figure come le escort. Non più proletarie costrette a vendersi dalla fame, ma libere professioniste che liberamente vendono il proprio corpo. Il loro, dice la Corte d'appello di Bari, è un diritto tutelato dalla Costituzione. E se le escort devono poter lavorare, allora devono poter lavorare anche i loro autisti, guardiaspalle, reclutatori: insomma tutto quel mondo che ruota intorno al mercato del sesso, e che oggi incorre nei rigori della legge.

Così, con una decisione potenzialmente rivoluzionaria, la Corte d'appello di Bari ha ritenuto fondata, trasmettendola alla Corte Costituzionale, l'eccezione sollevata nei processi in corso a Bari dai difensori di Giampaolo Tarantini e Massimo Verdoscia, condannati in primo grado per avere reclutato una serie di ragazze da presentare alle cene di Silvio Berlusconi. Il processo di secondo grado è stato sospeso in attesa della decisione della Corte Costituzionale. Se la vecchia legge Merlin dovesse venire cancellata nelle norme sotto accusa, gli imputati verrebbero assolti. E per l'ennesima volta sarebbero le sentenze a portare nell'ordinamento italiano quelle modifiche al passo con i tempi che il Parlamento non riesce a introdurre.

Nelle 27 pagine dell'ordinanza, la Corte barese sembra fare proprie risolutamente le argomentazioni dei legali degli imputati, Nicola Quaranta e Nino Ghiro. Al centro del processo, scrivono i giudici, "c'è l'affermazione del principio della libertà di autodeterminazione sessuale della persona umana; libertà che si estrinseca, nel caso delle escort, attraverso il riconoscimento del loro diritto a disporre della sessualità in termini contrattualistici dell'erogazione della prestazione sessuale contro pagamento di denaro o di altra compatibile utilità". "Siamo in presenza di un diritto costituzionalmente garantito", scrivono i giudici. Siamo di fronte, aggiungono, a "donne che hanno liberamente scelto di operare lo scambio" tra piacere e denaro; a una "protestata forma di affermazione identitaria, attingendo la libertà di autodeterminazione sessuale alle più profonde radici della persona umana".

Ed allora "sicuramente intacca l'inviolabilità di tale diritto una previsione normativa che sanzioni penalmente il compimento, ad opera di terzi, di attività materiali che tuttavia non siano in grado di incidere sulla libertà autodeterminativa delle escort". L'importante, insomma, è che la donna decida liberamente. Tutti quelli che poi collaborano con lei non devono essere puniti: "una tutela di tale libertà non può tollerare limitazioni ala pienezza del suo esercizio e quindi deve espellere quelle forme normative che siano palesemente ostative alla sua libera manifestazione".

Perchè "la condotta di reclutamento ovvero di selezione delle escort deve considerarsi diretta conseguenza della loro libertà di scelta di porsi sul mercato".
Commenta l'avvocato Quaranta: "Ho concluso il mio intervento davanti ai giudici di Bari dicendo: siate giudici della libertà e non dell'ipocrisia. Questa ordinanza afferma la laicità dello Stato".

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