Ogni volta che chiude un negozio se ne va un pezzo di memoria, di storia. Non è solo un fallimento economico e neppure la ferita di una sola persona e di una famiglia. È la sconfitta di una comunità, di un quartiere, di uno struscio di provincia, di un piccolo paese, magari aggrappato sui monti degli Appennini o seduto in una valle all'ombra delle Alpi.Ci sono strade senza più luci, insegne, odori di pane e di caffè, sapori che non proverai mai più, con un de profundis di chiuso, affittasi, vendesi, di saracinesche abbassate che con un solo colpo d'occhio ti rivelano più di una fredda sequenza di statistiche e percentuali.
Si muore per troppa crisi, per troppe tasse, troppi debiti e consumo dell'ultima goccia di speranza, di solito dopo l'ultimo Natale, come i vecchi che non passano l'inverno. È così che per comprare un paio di scarpe o la catenina per la comunione dei figli si va in auto nei non luoghi dei centri commerciali. Quattro negozi all'ora, 90 al giorno, 2.700 al mese: è questo il ritmo nel 2015 dei negozi perduti.Quello che fa ancora più male è il silenzio. I commercianti e gli artigiani cercano una voce, una politica.
Anche questa in fondo sta diventando una questione etica, l'etica della sopravvivenza. Fino a che punto devono diventare minoranza per farsi sentire? Quanti ancora dovranno fallire?Non è gente abituata a passeggiare nelle piazze, ma a questo punto non sarebbe male pensare a un Negozio Day.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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