In effetti cantare che «la felicità sia un bicchiere di vino con un panino» è una minaccia alla sicurezza nazionale. Volete mettere poi «la nostalgia canaglia che ti prende proprio quando non vuoi e ti ritrovi con un cuore di paglia»? Roba da chiudere le frontiere. All'armi, arriva Al Bano. Da noi sulla lista nera dello Stato ci sono mafiosi o terroristi. In Ucraina c'è Al Bano (con Gerard Depardieu e Michele Placido, tra gli altri). D'accordo, qualsiasi italiano ride all'idea che il cantante di Cellino San Marco, 75 anni, uno dei pochi che non abbia mai cantato di politica in mezzo secolo di carriera, possa essere un pericolo per le istituzioni. E difatti sui social ieri era un'alluvione di ironie tipo «Al Bano al 48º posto nella lista nera dell'Ucraina, ma al televoto era primo» (Alessio Viola) oppure «L'Ucraina ha capito tutto: CarrISIS» (Annacanta). Insomma, mentre il mondo parla d'altro, in una repubblica nata dallo sfaldamento dell'Unione Sovietica, i cantanti vengono messi al bando. E non lo fa la segreteria di qualche partito casualmente al governo. Lo fa il ministro della Cultura, in sostanza l'unico che proprio non lo dovrebbe fare. E, al netto delle battute estemporanee, c'è ben poco da ridere. L'uso strumentale della musica a fini politici è vecchio come il cucco e nemmeno serve ricordare quante rockstar siano state «attenzionate» dalle istituzioni, specialmente quando il rock aveva effettivamente un rilievo polemico significativo. Neppure c'entra l'Afghanistan dei talebani che vietò completamente le canzoni (a parte i canti sacri dei muezzin) creando di fatto il primo Paese senza musica della storia. L'obiettivo oggi è di sovranizzare la canzone popolare, escludere con qualsiasi pretesto (Al Bano amico di Putin è uno di questi) le voci esterne. Non importa cosa cantino, anzi: di solito il mirino focalizza la popolarità del cantante, non le sue canzoni. E Al Bano nei Paesi dell'Est europeo è una star, uno che viene accolto con grandi onori e comunque ha una valenza simbolica. Escludere lui significa escludere interferenze esterne. E, soprattutto, condizionare il gradimento pubblico. In ben altri e più rispettabili contesti, rientra la recente proposta leghista di «regolare» il mercato radiofonico imponendo un brano italiano ogni tre trasmessi, senza considerare però che praticamente è già così. In sostanza, è solo il desiderio di «chiudere le frontiere» anche in un campo nel quale le frontiere per definizione non dovrebbero esistere.
Una deriva sulla quale si può discutere ma che, in casi come quello dell'Ucraina, porta a estremi parodistici come quelli di considerare come un grave pericolo un cantante italiano che qui è il simbolo dei buoni sentimenti e delle tradizioni familiari. Un controsenso di questi tempi.Paolo Giordano
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