Controcultura

Quando sul "Tabù" si abbatte la folgore del castigo divino

In un clan si allunga l’ombra dell’incesto E qualcuno invoca tremendi castighi divini

Quando sul "Tabù" si abbatte la folgore del castigo divino

L’ uscita di un romanzo di Giordano Tedoldi è sempre un evento. Anche questa volta, con Tabù (Tunué, pagg. 361, euro 14,90, in libreria a giorni), l’autore non si smentisce. Finalmente un libro cattivo e perfino un po’ maschilista («Tutti gli uomini, quando si spogliano di ogni segreto, tornano al punto di partenza della misoginia»). Non che queste cose vadano considerate dei valori, ma lo diventano quando cominciano a scarseggiare al punto da essere a rischio di estinzione. Se tutti fossero cattivi avremmo bisogno di buoni. Ma quando tutti si atteggiano a buoni qualcuno dovrà pur interpretare la parte del cattivo. Una società non si regge sulla sola bontà. Finirebbe sopraffatta. E poi nel mare di ridicole censure e tabù che ormai s’impongono anche in letteratura, con accuse di sessismo e omofobia che piovono da tutte le parti, finalmente un po’ di sano amor proprio maschile non guasta. Specie per chi si sente sempre più soffocato dal conformismo del politically correct. Con Tedoldi non si corre questo rischio. Come nelle precedenti opere (Io odio John Updike, Fazi, 2006; I segnalati, Fazi, 2013) tutto è all’insegna della massima libertà espressiva. Del resto, Tedoldi è della stessa pasta dei Trevisan, dei Permunian, dei Parente e, perché no, dei Céline, dei Cioran, dei Bolaño, dei Bernhard. Se pensate che questo romanzo è stato rifiutato da editori maggiori viene da ridere, e la dice lunga sullo stato della nostra editoria. Quando leggi Tedoldi hai la sensazione di avere a che fare con un grande autore, uno di quelli che Colin Wilson ha catalogato come outsider, per la loro estraneità al resto del mondo letterario (e non solo), fatto di ipocrisie. E a proposito di maschere, tra tutte quelle che indossiamo nella vita, si domanda uno dei personaggi di Tedoldi, «qual è il vero volto di una persona?». Risposta: «Quello che appare più volte e, possibilmente, per ultimo (...). Dovete credermi sulla parola quando vi dico che io non ho mai visto uomo o donna indossare tanto a lungo una maschera, che non fosse poi quella mortuaria». Il tabù che dà il titolo al libro è apparentemente l’incesto; ma c’è di più: c’è l’infrazione di un comando divino. La storia è quella di un uomo, Piero, che decide di compromettersi fino in fondo, violando uno dei pochi tabù che ancora sopravvivono nella nostra società: quello di portarsi a letto la moglie, Emilia, del suo migliore amico, Domenico, perché dopotutto «l’amore comincia dalla tentazione». Ma questo solo a un livello superficiale. Perché a partire da quell’atto si scatena una sorta di punizione divina. Lui comincia a sprofondare socialmente e umanamente, precipitando nel degrado più totale (mosso dal desiderio sempre più irresistibile di violare tutte le regole sociali, così contrarie agli istinti), mentre lei - bellissima - viene colpita da un’inspiegabile malattia che, in analogia con le bibliche piaghe d’Egitto, le riempie la faccia di parassiti, costringendola a una vita da reclusa. Così Tedoldi spiega il senso di quanto accade nella mente di Piero, spingendolo al tradimento dell’amico: «Quanto al fascino insito nella violazione di un tabù, al fantasmatico prestigio che una coppia sposata ancora esercitava su uno scapolo come me (...) non c’erano misteri arcani, ma ammirazione per l’ingegno umano quando crea ordine e semplicità. Cos’altro avevano inventato di meglio, gli uomini, per innalzare il sesso su un piano più alto di quello delle bestie, se non il matrimonio». Ma Piero è uno che non si spaventa davanti a nulla, e quando gli viene annunciato che attende un figlio, ecco la sua reazione: «Non avevo paura di poter essere “un pessimo padre”, né di tirare su una prole deficiente o spostata. Sia pure, se così deve andare». Ma di colpo la storia prende una direzione inattesa e a poco a poco ci viene rivelato che tutti i principali attori del romanzo tranne Piero sono legati da rapporti di parentela, rappresentando dunque il circolo chiuso di un clan, e che dunque nel corso del romanzo quelle che abbiamo visto consumarsi erano unioni tra consanguinei, rapporti incestuosi. Piero assume il ruolo dell’eroe, l’estraneo al clan, colui che lo combatte cercando di romperne i legami malati e di assumerne il comando. Colui che si rivolge a Dio per invocare la punizione. Piero difatti ha scoperto (o creduto di scoprire) che Domenico non è solo il marito di Emilia, ma ne è anche il padre. Ecco dunque che la narrazione sale di livello e si accede a una dimensione superiore, nella quale titaniche forze primigenie entrano in lotta, fino a una riedizione del mito di Osiride, con tanto di uccisione della divinità, smembramento del suo corpo e rigenerazione. Ciò che accade tra gli uomini, insomma, non è che un livello più basso di ciò che accade nelle superne sfere, tra le divinità. Ma per tutto il tempo il lettore è assalito dal dubbio: ciò che ci viene raccontato è sogno, visione, esperienza ultraterrena? La risposta non può che trovarsi sepolta nel profondo di ciascuno di noi, nelle nostre origini e paure ancestrali.

Insomma, è puro e primigenio terrore panico, perché Tedoldi, per usare le sue stesse parole, è uno scrittore che ti immerge nel «suo strano gas intossicante» che si sprigiona «insieme con le sue parole fatte di schegge di vetro». Eh, sì, c’è il rischio di trovarsi di fronte a una forma incorrotta di genialità

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