«Nel '92 già voleva scendere... voleva tutto, ed era disturbato, perché era... acchianavu... nei... con quello...». A buon intenditor poche parole, ad ascoltatore con pregiudizi poche parole, ma confuse e aperte a libera interpretazione. È il mafiese, bellezza, la lingua preferita dalle Procure d'assalto. Un'accozzaglia di frasi nonsense, una spolverata di dialetto, le giuste parole chiave, «Berlusconi», «stragi», «favori», quanto basta per far trillare i sensori di certi inquirenti a caccia di materiale utile per confezionare bombe giudiziarie da far deflagrare nei giornali, più che nelle aule giudiziarie.
Anche perché, dalle parole del boss Giuseppe Graviano, in cella da mezza vita, di accuse utilizzabili non ne sono mai arrivate. Lo stesso Silvio Berlusconi si è ritrovato «mascariato» da questo gossip giudiziario per quattro volte e per quattro volte ne è uscito prosciolto o nemmeno incriminato. L'unica certezza è che Graviano padroneggia il mafiese alla perfezione. Un po' è Dna. Il siciliano è denso di modi di dire, metafore, allusioni criptiche, come raccontato magistralmente da Leonardo Sciascia. Ma c'è anche del mestiere. Un boss di questo calibro è abituato a dire e non dire, facendosi intendere. Indimenticabile in questo senso l'intervista cifrata di Ennio Remondino a Gaetano Badalamenti, il boss dei Cento passi, in carcere negli Usa. Più silenzi e negazioni che ammissioni, ma scolpiti in modo da far capire a chi doveva capire: «Io posso non dire, ma non dico bugie».
Graviano è più rozzo, ma si capisce che vuole lanciare un amo ai magistrati che lo ascoltano, mentre in cella lancia insinuazioni tanto prive di senso per un qualunque ascoltatore quanto «polpose» per chi sia in cerca di appigli a tutti i costi. «Berlusconi mi ha chiesto questa cortesia, per questo c'è stata l'urgenza di...». La cortesia per gli inquirenti che «traducono» è mettere in atto le stragi di mafia. Ovvio, no? Idem per quest'altra frase: «Lui voleva scendere, però in quel periodo c'erano i vecchi, lui mi ha detto: ci vorrebbe una bella cosa». Anche qui frase sibillina e oscura, ma chiarissima per i pm laureati in mafiese: La «bella cosa», ovviamente, sono ancora le stragi di mafia. Chissà se avesse detto «brutta cosa» che ci avrebbero letto.
Solo l'orografia mette un po' in crisi i pm. «Non volevano più le stragi. La montagna mi diceva, no è troppo». Su chi sia la montagna i pm non sono certi. Berlusconi, purtroppo, è più tipo da mare. Nessun approfondimento invece su una frase che suona programmatica, l'unica chiara: «Se io trovo l'avvocato giusto sai quante cose faccio uscire senza che io dica niente».
La minaccia di un untore che sa bene che finirà sui giornali, ma al momento di accusare davvero perde la parola: «Sono distrutto con tutte le malattie che ho, non sono in grado di affrontare un interrogatorio». Comodo, no? Soprattutto per pm che su questo tema fanno soprattutto buchi nell'acqua e per la grancassa di certi giornali. Gli stessi che poi sull'assoluzione definitiva del generale Mori pubblicano una breve.
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