Il «boom» preannunciato da Luigi Di Maio è arrivato forte è chiaro, ma non è il «boom economico» cui si riferiva il leader grillino, bensì il suo esatto inverso. Da oggi infatti, come preannunciato ieri dal premier Conte, l'Italia è ufficialmente in recessione, avendo inanellato due trimestri consecutivi a crescita negativa, cioè in decrescita. Almeno in questo i Cinque Stelle sono leali e coerenti: ai loro elettori solo pochi anni fa avevano teorizzato la bontà della «decrescita felice» e oggi possono dire: «fatto», almeno per quanto riguarda la decrescita. In quanto alla felicità rimaniamo perplessi che sia il sentimento prevalente oggi in Italia, soprattutto se pensiamo al futuro.
Come ogni primo ministro che si rispetti, Conte ha precisato che la recessione non è colpa del governo ma di chi lo ha preceduto e - immancabile - del mondo cattivo. Il nostro premier non è neppure sfiorato dall'idea che il «decreto dignità» unito a una manovra tutta assistenzialismo e tasse non abbiano certo agevolato la crescita, semmai prodotto l'esatto opposto. Non riflette, il premier, sul fatto che a furia di dire «non conta nulla» e non contrastarlo, lo spread alto (è costante da mesi sopra i 200 punti) sta infettando oltre che il debito pubblico anche l'economia reale. Non ammette Conte che - in tempi di recessione - di Tav ne andrebbero costruite tre, non chiusa l'unica che abbiamo sottomano.
È vero, piove in mezza Europa, ma proprio per questo gli ombrelli andrebbero aperti, non chiusi perché «così avevamo promesso e così è nel contratto». Se Salvini ha firmato un contratto capestro che ci ha portato in recessione ne prenda atto e faccia le scelte politiche conseguenti. Come già abbiamo scritto, noi gli siamo grati per il suo lavoro sull'immigrazione e gli facciamo pure i complimenti per i successi ottenuti, ma non vorremmo che tenere inchiodata l'attenzione del Paese su ogni barchetta che si profila all'orizzonte fosse una mossa studiata anche per non parlare d'altro e per distrarre l'opinione pubblica dai clamorosi insuccessi in campo economico.
Un Paese in recessione e senza una politica estera chiara (le divergenze nella maggioranza sui casi Venezuela e Afghanistan sono imbarazzanti) non può certo pensare di salvarsi solo perché ha arginato l'immigrazione. Pensavo che lo slogan «prima gli italiani» andasse preso alla lettera.
Cioè prima le grandi opere per gli italiani, prima meno tasse per gli italiani, prima la crescita dell'Italia e poi i problemi, nel bene e nel male, dei non italiani. Sta accadendo l'inverso, e il rischio è quello di naufragare noi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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