Scena del crimine

Fucilato, avvelenato e annegato: così il santone russo "sopravvisse" ai posteri

Grigorij Elfomovič Rasputin è stata e rimane una delle figure più contorte e misteriose del XX secolo. Rimasto accanto alla famiglia Romanov, fu uno dei motivi principali della caduta dell'impero zarista

Raspútin in un film del 2011
Raspútin in un film del 2011

Grigórij Efímovič Raspútin: questo è il nome di una delle personalità più contorte e inquietanti dello scenario russo dell'ultimo secolo. La sua figura è senza dubbio legata alla famiglia imperiale dei Romanov e in particolar modo allo zar Nicola II e alla zarina Aleksandra Fëdorovna.

Da contadino a santone: la trasformazione

Le origini di Raspútin sono avvolte nel mistero. Si pensa che sia cresciuto in Siberia, dove era già conosciuto dai cittadini del villaggio come un uomo vile e oltraggioso. Si macchiava spesso di piccoli reati, quasi sempre furti. Era sposato e aveva dei figli. La moglie, nonostante fosse esasperata dal comportamento del marito, gli restò accanto sempre, anche quando tutta la Russia lo voleva morto.

Deciso a cambiare vita, verso il 1897, Grigórij si allontana dal villaggio in cui abitava per andare alla ricerca di Dio. Soggiorna in alcuni monasteri e vaga in cerca di speranza e luce. Legge i libri sacri e ascolta gli insegnamenti di figure religiose, ma continua a non essere soddisfatto. Pensa che ci sia qualcosa di più dietro al mistero di Dio e che le sue potenzialità possano servire per evangelizzare la fede.

S’immerge totalmente nella dottrina ortodossa russa, imparando a memoria i passi del libro sacro, ma manca ancora qualcosa. Tutto cambia quando conosce la setta dei chlysty, una congregazione che esalta la sessualità attraverso riti orgiastici. La logica che sta alla base di questa comunità è che se non si pecca non ci si può pentire, e se non ci si pente non si può essere salvati. Da quel momento Raspútin si convince che Dio voglia servirsi di lui per guarire l’anima attraverso il corpo e che lui sia il mezzo perfetto.

Da questo momento diventa “il santone”. Barba e capelli lunghi, libro sacro in mano e abiti da monaco. Fino all’ultimo respiro la sua non è mai stata una parte di un copione recitata a memoria. Ha sempre creduto fermamente nei suoi poteri curativi e col tempo riuscì a convincere molti di essere colui che avrebbe portato la salvezza.

L’arrivo a corte

Rasputin

Nel 1904, dopo anni di attese e disperazione da parte dello zar e della zarina, nasce Aleksej Nikolaevič Romanov, unico figlio maschio e futuro erede al trono russo. È lui la speranza per la dinastia Romanov. Sembra che il bambino sia sano e nulla fa presagire niente di anomalo, se non per una macchia che sembra sangue. Dopo attente visite il medico comunica alla famiglia che Aleksej soffre di una grave malattia: l’emofilia. Un qualsiasi graffio o ferita potrebbe essere mortale per il piccolo. Non potrà condurre una vita normale. Ogni suo movimento dovrà essere controllato.

Per Nicola e Aleksandra è una tragedia. Il futuro zar è troppo fragile, non si sa neanche se potrà vivere anni. Passano mesi intrisi di sofferenza, vengono consultati i migliori dottori in circolazione. Nel frattempo il bambino cresce sotto una campana di vetro costruita dalla madre che non lo lascia neanche un attimo da solo. Tutte le attenzioni sono concentrate su di lui per prevenire un passo falso. La condizione di Aleksej è invalidante sia per se stesso che per tutta la famiglia reale. Lo zar, già incauto nel suo ruolo, abbandona sempre più la sua figura di sovrano per rimanere accanto alla sua famiglia.

È a questo punto che entra in gioco la figura di Raspútin. La nomea del santone viaggia velocemente e arriva fino alla corte. Nicola è scettico ma emotivamente sconfitto, non avendo nulla da perdere lo manda chiamare per un consulto. Quell’uomo barbuto ha un’energia particolare. È sicuro di sé, è carismatico, coinvolgente e convincente. Sin dal suo arrivo a corte sente di avere in pugno la situazione e d’altra parte i due coniugi reali non possono fare altro che dargli fiducia.

Da questo momento tra il monaco, Nicola e Aleksandra nasce un’intesa particolarmente forte. Man mano che Raspútin rimane dentro il Palazzo infatti, riesce a persuadere soprattutto la zarina di essere fondamentale per l’incolumità del figlio e di tutta la famiglia. Diventa dunque una figura di riferimento per ogni situazione, non solo quella spirituale, ma anche logistica e a volte anche politica. La soggezione al monaco diventa quasi idolatria.

All’esterno della corte invece, soprattutto tra i nobili e gli uomini vicini allo zar, Raspútin non è visto di buon occhio. Qualcuno si rende conto della prigione di vetro che l'uomo sta costruendo attorno alla famiglia. I Romanov, nel frattempo, sembrano sordi e ciechi di fronte la situazione di degrado che nel frattempo sta dilagando in Russia. I cittadini soffrono la fame e gli affari esteri sono in declino. Non è servita neanche la Rivoluzione del 1905 per scuotere Nicola di fronte ai suoi doveri.

Dopo una serie di azioni volte ad allontanare il santone da Mosca e la resistenza dello zar, la nobiltà russa comincia a lavorare su un piano per eliminare definitivamente il monaco.

L'inquietante fine

Rasputin
Il cadavere congelato di Rasputin adagiato su una slitta dopo il suo ritrovamento

Nel 1916 in una fredda notte di dicembre, il principe Felix Jusupov organizza una cena per uccidere Grigórij Raspútin. All’interno dell’abitazione vi sono il cugino dello zar, gran duca Dimitrij Pavlovič Romanov, Vladimir Mitrofanovič Puriškevič, il luogotenente Sukotin e il dottor Lazavert tutti d'accordo sul compiere l'omicidio. Il piano è semplice: avvelenarlo e nascondere il suo corpo.

A questo punto la storia si mescola alla leggenda. Secondo alcuni racconti, sembra che nella tavola imbandita era presente talmente tanto cianuro tra il cibo da uccidere un intero esercito. Seduti ognuno sulle proprie sedie, gli uomini non avrebbero toccato alcuna vivanda, aspettando il passo falso del santone nell'ingestione del veleno. L’uomo, secondo quanto è stato riportato, avrebbe mangiato e bevuto a volontà senza accusare alcun malore, facendo rimanere di stucco i presenti.

Determinati a eliminare quell'essere che non sembrava reale, decidono di cambiare il piano. Raspútin viene crivellato da diverse armi da fuoco e i primi colpi lo feriscono lievemente. Gli uomini sono terrorizzati da quel corpo che viene colpito ma non abbattuto. Esasperati, i congiurati prendono a colpire il monaco con calci e pugni finché questi non smette di respirare.

Viene legato, avvolto in una coperta e gettato nelle acque gelate del fiume Malaya Nevka. Dopo qualche tempo il corpo del santone viene ritrovato e analizzato. L’autopsia rivela due fatti misteriosi: non solo la presenza di acqua nel corpo, segno che fosse ancora vivo mentre veniva scaricato, ma anche l’assenza di veleno nello stomaco.

Sul conto di Raspútin sono state create storie e congetture che hanno contribuito a plasmare un personaggio inquietante e persino mistico.

Non si sa quanta verità e quanta fantasia siano arrivate fino ai giorni nostri: quel che è certo è che il suo ruolo ambiguo e contorto sia stato in qualche modo oggetto di attrito tra lo zar e l'aristocrazia russa da cui ne conseguì una posizione di conflitto insanabile e la fine definitiva della Russia zarista.

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