Ogni trasloco di Silvio Berlusconi ha sempre segnato una fase diversa della sua vita. E, in un modo o nell'altro, ha avuto anche a che fare con la politica. Quando era a via dell'Anima, a cento metri dall'hotel Raphael dove risiedeva Bettino Craxi, era sull'uscio della Prima Repubblica. Il trasferimento a Palazzo Grazioli ha accompagnato gli anni a Palazzo Chigi. E ora il trasferimento del 31 marzo nella villa sull'Appia Antica ha anche l'impronta di chi aspira ad un ruolo istituzionale, da riserva della Repubblica: da lì, più o meno come faceva Charles De Gaulle dalla villa di Colombey-les-Deux-Églises, dispenserà consigli e guarderà a cosa accadrà nel Palazzo. Per ora con occhio critico. «Abbiamo il peggior governo ha confidato a chi lo ha sentito nei giorni del Natale , composto da persone incapaci. Ma anche un'opposizione inadeguata. Salvini e la Meloni non li capisco proprio».
E già con l'ultimo dell'anno una fase politica si chiude. Ne è convinto anche un altro personaggio che in queste settimane ha fatto il bello e il cattivo tempo, Matteo Renzi. Lui non ne può più di questo governo. E lo ha gridato ai quattro venti: prima ai suoi, che saranno pure pochi ma sono determinanti; e poi agli alleati, in primis il Pd. «Il Conte bis ha spiegato non c'è più. È morto. E toglietevi dalla testa che per la minaccia di elezioni io mi cag... sotto. Intanto perché nel corso delle consultazioni durante la crisi farei il nome di Draghi e voglio vedere se il Pd avrebbe il coraggio di dire di no. Per cui alle elezioni non ci si andrà. Ma pure l'idea che andiate al voto con il partito di Conte, per voi rappresenterebbe un errore di calcolo. Un simile partito i voti li prenderebbe, infatti, al Pd o ai grillini, non certo a me. Vi dirò di più: Conte si gonfia quando legge i comunicati che gli scrive Casalino in tv, ma in campagna elettorale dovrà vedersela con Salvini, con il sottoscritto e Calenda, con la Meloni ed è già scritto che si sgonfierà».
Da questa premessa bisogna partire per leggere la nuova fase. Anche perché, se venisse meno la premessa, è inutile dire che Renzi perderebbe davvero la faccia. E lui lo sa. Insomma, è indispensabile una cesura con il passato. Anzi, si è già consumata. Il futuro è tutto da giocare. Il leader di Italia Viva, però, ha già spiegato i contorni di ciò che potrebbe accadere agli alleati: «C'è la possibilità del Conte ter. I grillini hanno paura che se Conte decidesse di dare le dimissioni io nelle consultazioni potrei fare un altro nome. E allora mettiamo le carte sul tavolo prima. Parliamo di che cosa vogliamo fare sul Mes, sui servizi segreti, sul Recovery Fund e troviamo un accordo. Il primo che dovrebbe giocare questa partita è proprio Conte, bisogna vedere se ne ha le capacità. Dipende solo da lui. Altrimenti ci potrebbero essere altre soluzioni. Sicuramente non elezioni. Potrebbe esservi un premier piddino o altro. E Conte deve sbrigarsi per evitare che nel Pd, come nei grillini, prenda piede un'ipotesi alternativa, cioè si faccia strada l'idea di archiviarlo, dandogli un ministero o mandandolo a casa. I segnali già ci sono. Anche perché Conte esiste in politica solo se ha un ruolo istituzionale. Ecco perché per sopravvivere deve dimostrare di essere capace di guidare un'altra fase. Altrimenti si passa ad altro. È la mia linea Maginot!».
Questi discorsi fatti da Renzi agli alleati, e non solo, sono una boutade? Tutt'altro. Ieri al Senato già si respirava l'aria di una nuova fase. Intanto perché il governo continua a combinar guai. Stanno arrivando i vaccini e solo ieri si è chiuso il bando per la società che dovrebbe selezionare il personale per somministrarli. Insomma, il solito ritardo: come il bando sulle nuove terapie intensive, fatto il 2 ottobre quando la seconda ondata della pandemia già dilagava. Poi gli errori sulla legge di bilancio che hanno fatto ricrescere i capelli al professor Cassese e spinto Renzi a fare una requisitoria questa mattina al Senato sul dibattito sulla fiducia: un'altra bordata per aprire la strada alla crisi. Limiti e inadeguatezze che portano tutti ormai a parlare di crisi. Anche nella maggioranza. «Questo governo spiegava ieri il piddino Luigi Zanda nei saloni di Palazzo Madama si è consumato. Qualcosa bisogna fare. Ci sono possibili soluzioni, ma non le elezioni. La politica è una scienza esatta». Due passi più in là stessi ragionamenti uscivano dalla bocca di grillini di rito «dimaiano», come il presidente della commissione Esteri, Vito Petrocelli, sia pure con altri approdi. «Il Conte due era la sua analisi non c'è più. Il Conte ter? Difficile. Io dico, e non a caso, che la legislatura potrebbe finire come avrebbe dovuto cominciare. Con un governo con una parte di noi, Forza Italia, Italia Viva, una parte del Pd e una parte della Lega e senza la Meloni. Guidato da chi? Non credo che ci siano i margini per Draghi, semmai Di Maio: se noi dobbiamo ingoiare il Mes la contropartita deve essere epocale».
Per cui anche una parte di 5stelle ha già archiviato Conte. Né le operazioni del premier di sostituire Renzi con pezzi dell'opposizione sembra aver avuto molto successo. Il drappello dei seguaci di Toti guidato dalla coppia Romani-Quagliariello pensa ad altro: dopo l'Epifania ci sarà il matrimonio con i seguaci della Carfagna. E anche gli altri pezzi di centro hanno altri disegni. Ieri al Senato si aggirava Clemente Mastella: la consorte Sandra Lonardo e Raffaele Fantetti sono i due ex di Forza Italia che hanno lavorato per Conte tra i senatori dell'opposizione. «Solo che con l'Udc che si è sfilata confidava l'esperto Clemente sono rimasti due. Se l'obiettivo è salvare il Conte bis? No, semmai è entrare nel Conte ter». Anche loro danno per spacciato l'attuale governo. E in fondo anche «i pretoriani» 5stelle di Palazzo Chigi lavorano non tanto per salvare il presente, quanto per avere le garanzie che il premier arrivi al ter. «Il nostro problema spiega il numero due del gruppo del Senato, Andrea Cioffi è uno solo: se per il rimpasto si deve passare per una crisi, che garanzie abbiamo su ciò che potrebbe succedere nelle 36 ore in cui Conte non è più il premier del bis e non è ancora il premier del ter?». È il motivo che ancora ieri ha spinto il ministro Patuanelli a minacciare in caso di crisi le elezioni con Pd-5stelle-Leu che vanno al voto senza Renzi: roba da premio «Tontolino d'oro» e apogeo del tafazzismo di sinistra, visto che in un solo colpo i giallorossi perderebbero le elezioni, la gestione del Recovery Fund e la possibilità di scegliere tra un anno il capo dello Stato. In sintesi: una pistola scarica.
E torniamo al Cav e al suo rammarico. Il De Gaulle della via Appia ha antenne sensibili nel palazzo e non sopporta l'idea che si stia aprendo una nuova fase e che non possa giocare le sue carte per colpa dei suoi alleati.
Nel dare gli auguri di Natale a più di un coordinatore di Forza Italia si è lasciato andare ad un sincero sfogo: «Il problema è che i nostri compagni di strada sono inadeguati. Renzi, di fronte alla pochezza di Conte, sarebbe anche disposto a fare un governo con noi. Magari gli basterebbe fare il ministro degli Esteri. Solo che la Meloni dice sempre di no. E così lui ci manda a dire che ci terremo Conte per altri due anni. I nostri alleati l'unica cosa che sanno dire è no. Bertolaso candidato sindaco a Roma? La Meloni fa le bizze perché non lo controlla. A Bologna candidando Andrea Cangini, per anni direttore del Resto del Carlino, vinceremmo sicuramente? Ma loro dicono di no, al solito perché non è uno dei loro. Ma come si fa?!».
È l'amarezza di chi è convinto di avere buone chance di vincere la partita, ma che non può scendere in campo. Occasioni perse per la miopia degli altri.
Di questi tempi capita spesso. «Dico solo è l'ultimo lamento che spinge Renzi a far di tutto per cambiare stagione che se Berlusconi o io avessimo avuto le risorse che l'Europa ci dà ora, avremmo cambiato da cima a fondo questo Paese».
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