Cronache

"Rieducate alla sharia". Così vengono punite le iraniane accusate di "mal velo"

A Roma le testimonianze delle donne scappate dal regime degli ayatollah: "Ti portano in commissariato e ti rieducano, il velo è un'imposizione, basta un capello fuori posto per rischiare la vita"

"Rieducate alla sharia". Così vengono punite le iraniane accusate di "mal velo"

Non si può banalizzare né decontestualizzare. Non è uno slogan né un accessorio alla moda. Ci vuole cautela e l’Occidente non può usarlo come simbolo di libertà. Ce lo insegnano Masha Amini e le tante iraniane che in questi giorni stanno protestando nel suo nome e per la loro autodeterminazione. Chi il velo lo conosce e lo subisce, lo brucia. È quello che sta accadendo nelle piazze della Repubblica islamica dell'Iran: a Teheran, Mashhad, Tabriz, Rasht, Isfahan e Kish. Centinaia di hijab dati alle fiamme. La 22enne curda è stata percossa dalla polizia morale lo scorso venerdì. La sua colpa è una ciocca di capelli sfuggita dall’hijab e la sua storia è uno spartiacque.

"Il caso di Masha non è l’unico: centinaia di donne sono state percosse e perseguitate dal regime degli ayatollah", ci spiega Davood Karimi, presidente dell’Associazione dei rifugiati politici iraniani residenti in Italia. Lo incrociamo nel gruppo di manifestanti che oggi si è dato appuntamento davanti all’ambasciata iraniana a Roma. "Venite, venite, siamo tanti non abbiate paura", scandiscono i manifestanti in persiano. È lo stesso canto che si leva nelle piazze iraniane, e ribadisce la vicinanza ideale con chi sta rischiando la vita per difendere i propri diritti.

"Masha è una scintilla di libertà, il suo omicidio ha risvegliato le masse, le donne come lei sono in prima linea, vogliono rovesciare il presidente Raisi, vogliono la democrazia", continua il presidente. Anche a Roma in prima linea ci sono le donne. C’è Ghazal, 37 anni, passati per lo più in Italia. Lei e le altre oggi sono qui a manifestare a capo scoperto, senza correre il rischio di essere prelevate, picchiate e "rieducate". È per questo che si definiscono "fortunate e privilegiate". "Il velo dovrebbe essere una scelta, e invece in Iran le donne hanno paura ad uscire di casa. Non sai mai cosa ti può succedere, basta un capello fuori posto per rischiare la vita", racconta.

Sua cugina avrebbe potuto fare la stessa fine di Masha. È stata accusata anche lei di "mal velo", ossia di aver indossato pubblicamente l’hijab in maniera difforme dalla sharia. "In Iran è considerato un crimine e c’è una polizia morale creata appositamente per perseguire chi lo commette. Ti sorprendono in mezzo alla strada, ti caricano su una camionetta, vieni percossa con fucili e manganelli e portata in commissariato". È così che ti rimettono in riga quando sbagli, e per assicurarsi che tu non lo faccia più ti rinfrescano la memoria. "Ti sottopongono ad una specie di rieducazione, leggendoti i versetti coranici che prescrivono il velo e spiegandoti come lo devi indossare correttamente", conclude la 37enne.

"Le ragazze iraniane che vengono in Italia del velo non ne vogliono sapere, e sono convinta che la maggior parte di quelle che lo indossa lo fa per le pressioni della famiglia". Ad assicurarcelo è Nazli, 28 anni. Nessun hijab, sulla sua testa c’è il cappellino di una nota squadra di baseball americana. È una millenials e ha uno smartphone in mano. "Per Masha c’è stata una buona mobilitazione anche in Italia, sui social tanti utenti hanno condiviso e denunciato l’accaduto, ma che fine hanno gli influencer?", si domanda. "È mancato il supporto delle persone influenti. Le donne che hanno un seguito sui social e che si sono esposte sono state poche. Non c’è stata quella adesione che abbiamo visto con il caso Floyd e il Black lives matter". Come mai? "È come se l’argomento non avesse appeal, sembra che il velo sia qualcosa di sacro e intoccabile e che se non sei musulmano non puoi permetterti di giudicarlo", risponde.

Più in là, c’è lo scultore iraniano Reza Olia. È pronto a scommettere che le proteste non si fermeranno. "Stavolta gli iraniani fanno sul serio, ogni giorno si svegliano e escono senza pensare alle conseguenze, senza pensare se la sera torneranno a casa o al cimitero”, dice.

Finora i morti negli scontri di piazza, secondo le Ong, sarebbero più di cento: "Certo, se l’Europa prendesse una posizione netta, forse si eviterebbe altro spargimento di sangue".

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