Il riformismo cancellato dall'invidia

Nel manifesto politico con cui la Cgil si prepara all'ennesima manifestazione contro il Governo, si ritrova tutta questa deriva ideologica. Nessuna proposta concreta per aumentare il reddito dei lavoratori o la produttività delle imprese

Il riformismo cancellato dall'invidia
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Ci sono due sinistre, oggi come ieri. Una riformista e liberale, l'altra massimalista e ideologica. La prima si è sempre misurata con la realtà, la seconda l'ha sempre negata. Il dibattito ricorrente sulla "patrimoniale" è la cartina di tornasole di questa divisione: non una disputa economica, ma un conflitto antropologico, che racconta due visioni del mondo opposte. Da un lato, c'è la sinistra che in epoche diverse ha fatto dell'economia uno strumento di crescita, di emancipazione e di mobilità sociale. È la sinistra del blairismo e della terza via, dell'America di Clinton, e per certi versi del socialismo riformista di Bettino Craxi. Una sinistra che ha creduto nella forza del merito e nella legittimità del successo; che ha visto nell'ascensore sociale non un privilegio, ma un diritto; che ha cercato di "far salire chi sta in basso", non di "far scendere chi sta in alto". Dall'altro lato, c'è la sinistra d'oggi, quella che identifica nel benessere altrui una colpa, nel ricco un nemico, nel successo un torto. È la sinistra che ha sostituito la cultura dell'emulazione con quella dell'invidia, la competizione con il risentimento, la libertà con l'egualitarismo punitivo. Una sinistra che, incapace di proporre percorsi di crescita, si limita a invocare tasse di punizione: come la patrimoniale, appunto.

Nel manifesto politico con cui la Cgil si prepara all'ennesima manifestazione contro il Governo, si ritrova tutta questa deriva ideologica. Nessuna proposta concreta per aumentare il reddito dei lavoratori o la produttività delle imprese. Nessuna detassazione degli straordinari, dei premi di produzione, della redistribuzione degli utili per chi crea valore. Nessun incentivo alla sanità integrativa, strumento equo e moderno per garantire cure migliori a tutti. Solo vecchi slogan: "tassare i ricchi", "colpire i patrimoni". Ma la patrimoniale non è una misura di giustizia: è una misura di impotenza. Colpisce i risparmi, cioè il frutto già tassato del lavoro e del sacrificio. È, al tempo stesso, ingiusta e inutile. Ovunque sia stata introdotta o anche solo minacciata dalla Francia alla Gran Bretagna ha prodotto lo stesso effetto: fuga di capitali, riduzione degli investimenti, perdita di lavoro. Alla fine, a pagare non sono i "ricchi", ma i lavoratori, gli artigiani, le piccole imprese che da quella ricchezza traevano opportunità. Eppure, alle teorie sindacali di Landini si è aggiunta la versione globale del segretario del PD, Elly Schlein, che propone una tassa europea sulla ricchezza. Una formula che suona bene nei talk show, ma che, nella realtà, rappresenta l'ennesimo passo verso il declino. Perché l'Europa, già oggi, è il vaso di coccio tra i vasi di ferro: schiacciata da politiche ambientaliste ideologiche che distruggono la sua manifattura, da norme antitrust che ne frenano l'innovazione digitale, da rigidità del lavoro che soffocano l'occupazione.

Aggiungere ora una tassazione patrimoniale nazionale o continentale che sia significherebbe completare l'opera: scoraggiare gli investimenti, spingere i capitali verso gli Stati Uniti e l'Asia, impoverire il tessuto produttivo. In nome di un'uguaglianza apparente, si finirebbe per aumentare le disuguaglianze reali. Il paradosso è che a pagare le conseguenze di questa ideologia saranno proprio le categorie più fragili, quelle che oggi scenderanno in piazza per invocarla.

È la lezione che la sinistra massimalista non ha mai voluto imparare: che non esiste equità senza crescita, né solidarietà senza libertà. E che una società che punisce il merito e diffida del successo non costruisce giustizia: costruisce solo povertà.

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