Che la politica di oggi sia estremamente fluida non è certamente una novità delle ultime settimane. Lo certificano le due maggioranze e i due governi figli delle elezioni del 2018. E, per chi ancora avesse dubbi, i ripetuti rumors che da mesi disegnano futuribili scenari di larghe intese per fare fronte all'imminente crisi economica. Insomma, tutto - o quasi tutto - è ormai possibile. L'importante è trovare il «pretesto» giusto - il superiore interesse del Paese - da gettare nelle turbine della comunicazione e legittimare così la scelta. Per quanto improbabile o improvvida.
È nelle cose, quindi, che in questo quadro tornino a parlarsi con una certa assiduità pure Matteo Salvini e Luigi Di Maio, protagonisti - esattamente un'estate fa - di una rottura inattesa e mai veramente metabolizzata da entrambi i protagonisti. Dello scorso agosto, infatti, si ricorda anche lo scambio di messaggi in cui Matteo chiedeva a Giggino di mettere una pietra sopra lo strappo del Papeete e di ricostituire l'alleanza, arrivando persino a proporgli la poltrona di premier (circostanza, questa, mai smentita da Salvini). E siccome «certi amori non finisco ma fanno dei giri immensi e poi ritornano», non stupisce poi tanto che i due oggi abbiano ripreso a scambiarsi segnali di fumo. Questo, almeno, giura uno dei colonnelli più vicini al leader della Lega. D'altra parte, in questo senso i segnali sono molti. Quello che più ha colpito l'immaginario è stata certamente l'apertura dell'ex ministro dell'Interno a una possibile intesa con il M5s quando si voterà il successore di Sergio Mattarella (appuntamento non proprio dietro l'angolo, visto che è in agenda per gennaio 2022). Ma l'elemento fattuale che più lascia pensare che davvero tra i due sia in corso un confronto è un altro. Sono mesi che non c'è ombra di una polemica diretta e spigolosa tra i due, e questo nonostante Salvini non passi giorno senza picchiare duro contro il governo guidato da Giuseppe Conte. Esecutivo di cui Di Maio è ministro degli Esteri, oltre che azionista di maggioranza con il M5s (anche se sul punto va detto che la truppa in Parlamento davvero disposta a seguirlo si aggira intorno alla trentina di parlamentari). Ecco, nonostante questo, Salvini e Di Maio sono mesi che non incrociano la spada, così come pure i peones leghisti non sono soliti prendersela con i colleghi grillini.
Chissà, magari è solo un caso. Anche se in Lega c'è chi è convinto che il leader stia giocando una partita su più tavoli. E uno di questi non escluderebbe un nuovo avvicinamento al Movimento (o a quel pezzo che resterà con Di Maio se davvero la creatura di Beppe Grillo finirà per implodere). D'altra parte, non è un segreto quanto Salvini mal sopporti l'ascesa di Giorgia Meloni. Che i sondaggi danno in crescita continua e che alle regionali di settembre rischia di portare a casa Puglia (con Raffaele Fitto) e Marche (con Francesco Acquaroli). Così fosse, gli equilibri all'interno del centrodestra sarebbero destinati a cambiare non poco, a tutto svantaggio del leader della Lega. Che teme pure un riassetto all'interno del Carroccio, visto che Luca Zaia gioca una sua partita autonoma e un consenso bulgaro alle regionali di settembre potrebbe mettere il governatore del Veneto sul trampolino di lancio (non a caso c'è chi dice che sarebbe tentato di correre in solitaria). Per tutte queste ragioni, dunque, è assolutamente plausibile che Salvini si stia guardando in giro, cercando di tenere in piedi una sorta di piano B a seconda di come evolverà la situazione.
Discorso simile per Di Maio, che ha la sua Meloni in Conte. Un anno dopo il Papeete, infatti, seppure dalla comoda poltrona della Farnesina, l'attuale ministro degli Esteri si ritrova spesso e volentieri a subire decisioni che prima prendeva lui in prima persona. Il rapporto con il premier, infatti, è ormai ai minimi termini. Da timoroso esecutore dei diktat di Salvini e Di Maio, infatti, Conte è oggi passato ad essere il protagonista della scena. E se alla prossima tornata elettorale dovesse essere pure il candidato premier di quel che resta del M5s, finirebbe per dire la sua anche sulle liste elettorali del Movimento. Ci sta, insomma, che Di Maio si stia guardando intorno. In direzioni che solo qualche anno fa avrebbero mandato in ebollizione il mondo grillino. Come quando settimane fa ha incontrato Mario Draghi e lo ha fatto persino filtrare sui giornali.
O come quando il 21 agosto si presenterà al Meeting di Cl dove il Movimento manca dal 2015 («Comunione e disperazione» o «Comunione e fatturazione», li irrideva Grillo ancora pochi anni fa). Di Maio, dunque, spariglia. E si presenta a Rimini per partecipare alla tavola rotonda «Il Parlamento serve ancora?». La stessa a cui presenzierà - ma nella seconda sessione - anche Salvini.
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