Finalmente, per ammissione degli stessi ucraini, la tanto ventilata controffensiva per riconquistare i territori occupati da Putin ha avuto inizio. Mentre Kiev resta muta, i blogger di guerra russi parlano di una tempesta di fuoco che sta mettendo a dura prova i soldati del Cremlino. Certo, in guerra è difficile sapere la verità visto che la disinformazione è lo strumento bellico per antonomasia, ma i Paesi della Nato hanno dotato l'esercito ucraino di un arsenale formidabile ed è difficile dubitare della sua efficacia.
Vedremo cosa avverrà nelle prossime settimane, ma se l'esercito di Kiev sfonderà le linee nemiche, oltre alla gioia per il successo bisognerà anche cimentarsi in una pacata riflessione che riguarda innanzitutto l'Occidente. Per un giusto e sacrosanto sentimento di solidarietà verso un Paese aggredito, infatti, abbiamo riempito l'esercito di Zelensky di armamenti creando una vera santabarbara in mezzo all'Europa, al punto che Kiev ora si permette di rifornire di fucili e di quant'altro la resistenza russa a Belgorod, irritando alcuni Paesi europei e persino gli Stati Uniti.
Si pone, quindi, una questione delicata che riguarda la pace in Ucraina e la sicurezza del mondo: dopo aver trasformato l'antiquato esercito ucraino, che all'inizio della guerra era di fatto un residuato bellico dell'Armata rossa, in una macchina da guerra capace di tenere testa se non addirittura di prevalere (vedremo) sulle divisioni di Putin, lo lasceremo davvero agire in piena autonomia? Non sarebbe il caso, invece, di integrare Kiev nella nostra organizzazione militare, cioè nella Nato? E, soprattutto, chi avrà il potere e la capacità di persuadere Zelensky a porre fine alla guerra, se non potrà mettere sulla bilancia quelle garanzie di sicurezza che Kiev pretende per il futuro?
Sono interrogativi che dovrebbero ricevere una risposta ora che la controffensiva è appena cominciata, magari nel vertice dell'Alleanza a Vilnius, per evitare di arrivare impreparati alla fase cruciale del conflitto. Purtroppo l'Occidente, gli Stati Uniti in primis, in passato hanno armato Paesi fino ai denti per poi lasciarli senza una guida al loro destino. Aggiungendo problemi a problemi. Un conto, però, è farlo in qualche angolo del mondo, un altro in mezzo all'Europa, in un Paese che confina con la Russia. Sarebbe un comportamento irrazionale, la premessa - per dirla con la saggezza centenaria di Kissinger - di una terza Guerra mondiale. La verità è che per avere il controllo della santabarbara nel cuore del continente e dare un motivo a Zelensky per aprire la strada ad una tregua, l'unica via è quella dell'adesione dell'Ucraina, in un modo o nell'altro, alla Nato. Ogni ipotesi surrogata aggiungerebbe confusione a confusione. Anzi, a dir la verità, già ce n'è tanta se l'ex-segretario generale dell'Alleanza, Rasmussen, immagina che, senza l'adesione, alcuni Paesi membri potrebbero schierare autonomamente le loro truppe in Ucraina. O, ancora, se l'attuale, Stoltenberg, precisa che la Nato fornisce garanzie di sicurezza solo agli Stati membri.
Ecco perché, al di là delle regole del
Patto atlantico, forse l'ipotesi più sicura, come al solito, è la più semplice: aprire le porte dell'Alleanza. In fondo la Nato ai suoi albori nacque come strumento di dissuasione per garantire la pace non per fare la guerra.
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