Milano - Le donne cinesi e indiane si presentano in ambulatorio, prenotano un’ecografia. E quando vengono a sapere che sono in attesa di una bambina chiedono di abortire. «Femmina? - cominciano a piangere - No, mio marito mi ammazza». Ovviamente nessun ospedale italiano accetta di assisterle per interrompere la gravidanza, poiché la richiesta viene fatta troppo tardi rispetto a quanto permette la legge 194. Ma loro si arrangiano per altre vie. No, non più nei sudici laboratori clandestini, non più con l’aiuto di chirurghi-macellai che le operano con ferri da tetano.
Ora l’aborto selettivo viene fatto con una banale pillola, in casa. L’unica difficoltà, ampiamente superabile, è trovare un medico disposto a firmare una ricetta. In farmacia, spiegano i medici, esistono parecchi medicinali che servono a tutt’altro e curano varie patologie (ad esempio la gastrite) ma che tra gli effetti collaterali possono anche provocare l’aborto. Somministrati con un certo dosaggio, ecco che portano a interrompere la gravidanza. Producono gli stessi risultati della pillola abortiva ma senza alcun tipo di assistenza medica. Una pratica atroce, ma messa ancora in atto, eccome. Non solo in Cina e in India ma anche dagli asiatici che vivono nelle nostre città, soprattutto nei capoluoghi più affollati. A dirlo sono le cifre: la differenza fra il numero di maschi e di femmine, fra i nuovi nati, solitamente dovrebbe aggirarsi attorno a un fisiologico 5%.
Invece sale al 10-15%. Il sospetto che quindi si pratichi l’infanticidio femminile e forte. Negli ultimi quattro anni per ogni cento neonate cinesi in Italia ci sono stati 109 maschi: percentuale alta ma non altissima, rispetto alla norma di 105. Se però si considerano solo le nascite dei terzogeniti e dei figli successivi, allora le cose cambiano e si scopre che la «sex ratio» sale fino a 119. Significa che le famiglie lasciano al caso il primo figlio e forse anche il secondo: ma, se il maschio non è arrivato, dal terzo in poi non corrono più rischi e si affidano all’aborto.
Ancora più avvilenti sono i dati della comunità indiana in Italia: 116 maschi ogni cento femmine, 137 dal terzogenito in su. «La discrepanza sospetta tra maschi e femmine - spiega Nadia Muscialini, responsabile del centro antiviolenza dell’ospedale San Carlo di Milano - rispecchia la stessa proporzione degli aborti selettivi che vengono fatti in Cina». «Per di più - aggiunge il medico - affrontiamo anche tanti casi di spose bambine o ragazzine in attesa che ci chiedono un aiuto per non fare la fine delle loro madri». Cioè per non doversi sposare in giovane età, per poter invece proseguire gli studi e per non essere costrette a un destino preconfezionato né vivere sottomesse a mariti spesso violenti. La struttura di assistenza aperta fra il pronto soccorso e il corpo divisionale ha raccolto lo scorso anno 796 richieste di aiuto e 463 sono le donne prese in carico, al 61% italiane, mentre fra le straniere prevalgono le donne di origine sudamericana (38%), dell’Est Europa (27%) e dell’Africa (29%).
Tra queste tante richieste, rifiutate, di aborti post ecografia. E anche tanti casi di violenza: «Il 30% delle violenze - spiega la Muscialini - sulle donne comincia durante la gravidanza. E non stiamo parlano dolo di donne straniere ma anche di parecchie italiane. L’uomo, per una forma di invidia primitiva, esercita così una forma di possesso, di supremazia».
Un’altra tipologia di donne che chiedono aiuto è quella delle straniere che lavorano ma che non possono gestire direttamente il denaro
che guadagnano, totalmente in mano al marito. «Queste donne spesso non hanno nemmeno i soldi per fare la spesa o per comprate il materiale scolastico per i figli. Noi le aiutiamo appoggiandoci anche al Banco Alimentare».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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