Coronavirus

Scaricabarile di Arcuri: "Farò schifo, ma non c'entro"

L'esempio è un classico del momento e, magari, la vittima designata avrà pure le sue ragioni. L'altro ieri appaiono sui media due notizie alquanto contraddittorie.

Scaricabarile di Arcuri: "Farò schifo, ma non c'entro"

L'esempio è un classico del momento e, magari, la vittima designata avrà pure le sue ragioni. L'altro ieri appaiono sui media due notizie alquanto contraddittorie. In Italia mancano un milione e mezzo di dosi di vaccini antinfluenzali; contemporaneamente si viene a sapere che a chi, magari di traverso, era stato dato il compito di procurarli, cioè il Commissario per l'emergenza Domenico Arcuri, viene assegnato pure il ruolo, immane, di responsabile della campagna nazionale di vaccinazione anti-Covid (quando arriverà il vaccino), qualcosa che dovrebbe far tremare i polsi a chiunque sul piano logistico, visto che si tratta di un medicinale, quello della Pfizer, che deve essere conservato in frigoriferi che garantiscano almeno una temperatura di 80 gradi sottozero. Una contraddizione in termini, che spinge qualcuno a chiedersi per quali «oscure qualità» conosciute solo al premier, venga affidato un ruolo così delicato a chi, lo stiamo scoprendo in queste settimane, avrebbe fallito un'operazione analoga? La risposta la offre lo stesso interessato, Arcuri: «Da sempre il compito di garantire la vaccinazione antinfluenzale è delle Regioni. Visto che è stata riscontrata una carenza di dosi, il ministro Speranza mi ha chiesto di acquistare tre tipi di vaccino che lui è riuscito a procurare sul mercato europeo. Io sono intervenuto solo a seguito di questa richiesta. Come dite voi io farò pure schifo, ma questa volta non c'entro proprio niente!». Per dovere di cronaca l'incarico di comprare i vaccini Arcuri lo avrebbe ricevuto da Speranza appena dieci giorni fa, quando l'influenza nel Belpaese circolava da un pezzo, confondendo per migliaia di pazienti, tutto a scapito degli ospedali, i sintomi del più tradizionale male stagionale con quelli del Covid. L'acquisto precisa però il ministro, serve solo «ad ampliare il margine di sicurezza rispetto alla richiesta»: insomma, sulla carta le dosi ci sarebbero solo che continuano ad essere introvabili nella realtà. E anche sul vaccino anti Covid, Arcuri già mette le mani avanti: «Prime dosi disponibili a fine gennaio, ma non saranno per tutti da subito».

Ci risiamo: le responsabilità rimbalzano tra Commissario, Regioni e governo. È successo per le mascherine, per le terapie intensive, per le lacune nella scuola e nei trasporti, per la mancata assunzione di medici e infermieri, e via dicendo. Ormai è lo sport più diffuso nei Palazzi del Potere a Roma: lo «scaricabarile» o, meglio, il gioco di addossare le proprie colpe ad altri. Si parte dal governo che rigetta ogni responsabilità sulle Regioni, che poi le dirottano sui ministri, che le rilanciano sui sindaci, che a loro volta le scaraventano sul Commissario dell'emergenza, che non vede l'ora di mettere sul banco degli imputati la maggioranza di governo, che, a sua volta, non aspetta altro che parlar male dell'opposizione «irresponsabile». Fatto il giro, si ricomincia e si va avanti all'infinito. Risultato: tutti colpevoli, nessun colpevole; o, viceversa, tutti innocenti, nessuna colpa. Gli unici capri espiatori sono stati due sempliciotti: un ex generale dei carabinieri, Cotticelli, che è stato licenziato da commissario per la sanità in Calabria per una performance tv in cui, parole della consorte, «sembrava drogato»; e il successore, Zuccatelli, una via di mezzo tra due comici, Groucho Marx e Maurizio Nichetti, che non ha trovato di meglio che immortalarsi in una «gag» contro quel Totem che è diventata la mascherina.

Gli altri hanno tutti beneficiato di un'amnistia generale che si infrange sulle cifre terribili di questa epidemia: ieri nuovo record di contagi, 38mila, con un tasso di positività del 16%; abbiamo superato il milione di contagi dall'inizio della pandemia; con 636 morti siamo tornati alle cifre del 6 aprile; abbiamo di nuovo superato, in percentuale alla popolazione, il numero dei decessi quotidiani degli Stati Uniti e ci avviamo a sorpassarli anche sul piano dei morti complessivi, un primato drammatico che la quiete estiva ci aveva tolto e che ci accingiamo, con una caparbietà degna di ben altra competizione, a riprenderci.

I numeri della catastrofe non nascono dal nulla: nella prima ondata funzionò l'alibi del «male» inedito e sconosciuto, che cancellò le colpe di tutti; nella seconda, si può dir ciò che si vuole, le cifre drammatiche sono figlie del grado di «impreparazione» con cui ci siamo ritrovati a fronteggiar un'offensiva annunciata. Pochi esempi. Ci sono più ricoveri negli ospedali che nella scorsa primavera. Ieri sono finiti i posti di terapia intensiva a Roma, bisognerà rimettere in funzione quelli delle strutture private che per l'idiosincrasia para-ideologica della Regione Lazio erano stati smobilitati. Sul «colore» della regione Campania il governo non ha ancora deciso, ma il senatore Gianni Pittella, fratello dell'ex governatore della Basilicata e piddino come il governatore della Campania De Luca, confida: «Da Napoli mi chiamano per avere un posto in ospedale a Potenza perché lì sono esauriti, eppure la Campania è gialla mentre la Basilicata è arancione». Per non parlare dei vaccini antinfluenzali: la direzione generale della prevenzione sanitaria si era raccomandata il 5 giugno e oggi ci troviamo ancora in queste condizioni. L'apoteosi del caos la tocchi, comunque, nella confusione che c'è sul numero dei contagi, che alimenta uno strano sospetto secondo il quale le Regioni che vogliono misure più stringenti danno solo i risultati delle analisi molecolari (dove la percentuale dei contagiati aumenta); quelle che, invece, vogliono meno chiusure aggiungono pure i dati delle analisi sierologiche e dei tamponi veloci, così la percentuale dei contagi si diluisce in numeri più grandi. Insomma, anche i «colori» delle Regioni possono essere pilotati: Campania docet, visto che nelle intenzioni del governo balla ancora tra l'arancione e il rosso.

C'è da meravigliarsene? No, basta pensare a ciò che è successo sull'argomento «scuole»: siamo passati dai 9mila contagi in età scolastica del 25 agosto, ai 120mila di oggi, un incremento che supera il mille per cento. «Il fatto che l'innalzamento della curva sia databile al 2 ottobre ammette il viceministro della Sanità, Pierpaolo Sileri - cioè 14 giorni l'inizio delle scuole, lo conferma. Ma le scuole non si potevano toccare».

Un lungo elenco di incongruenze, responsabilità e colpe per cui nessuno paga. E che diventa un fardello perché chi sbaglia, continuerà a sbagliare. E, invece, l'efficacia nell'affrontare un'emergenza cammina sulle capacità degli uomini più che sul colore dei governi. «Ormai rimarca Enrico Borghi del Pd siamo al modello libico, ogni tribù difende i suoi. Se non torna la politica finiamo male». Tanto più che se vuoi coinvolgere l'opposizione devi dare un senso alle scelte che fai e alle persone che tieni in ruoli di primo piano. «Ma che competenze ha Gino Strada per fare il commissario in Calabria? La conoscenza degli ospedali di guerra e delle mine anti-uomo? Ma su!», sbotta il leghista Edoardo Rixi: «Collaborazione? Meglio andare in vacanza. Anche perché questi da una parte ti danno la mano, dall'altra ti sparano. Hanno già messo nel mirino Toti per Autostrade.

Anche se lui ha sbagliato ad atteggiarsi da Napoleone quando la procura più cattiva d'Italia dista 300 metri dal suo ufficio da governatore». È indubbio: la strada della collaborazione è già difficile, se ci aggiungi pure che chi sbaglia resta al suo posto e non condividi le scelte degli uomini, diventa impossibile. «Tutto marcia sulle gambe delle persone osserva Roberto Occhiuto, a cui costano queste parole e di fronte alla crisi dei partiti, solo uno come Napolitano sarebbe riuscito ad imporre il governo del tutti insieme.

Così».

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