La scia di sangue della cocaina

Vorrei parlare male della cocaina, senza se e senza ma. Non è una crociata, però esprimo un desiderio ambizioso, quello di rompere la cortina di reticenze che ascolto e leggo nei commenti su quel bestiale delitto di Alatri. Bestiale, appunto, perché provocato (...)

(...) da un'alterazione delle facoltà mentali di chi già ne era molto carente. L'accanimento, la violenza gratuita, la profanazione del cadavere non sono azioni che possano venire spiegate da variopinte interpretazioni psicologiche di cui, mi accorgo, ci si compiace per i fantasiosi esiti. Quei giovani delinquenti, ora si sa, ma già se ne aveva consapevolezza, erano sotto effetto della cocaina, della droga. Della droga dei colletti bianchi, quella che fa essere sempre all'altezza delle situazioni più complesse e che consente di dare ad esse risposte brillanti, le più brillanti possibili. La cocaina, droga della più deprecabile competitività sociale, doping del manager che deve mostrare palle di ferro nel suo consiglio di amministrazione, la coca che i film americani esaltano, perché è quella che deve sniffare chiunque voglia emergere in un mondo di pescecani.

Poi si scende: il colletto bianco diventa quello sporco di una camicia non lavata da giorni; il colletto bianco della camicia sparisce e viene sostituito da una t-shirt e da una tuta. E allora si prende la cocaina, perché è quella presa dalle persone importanti per essere ancora più importanti: e il poveraccio li imita, per riuscire a illudersi di essere anche lui diverso e superiore agli altri. Ma sugli effetti di questa droga dei vip pare sia meglio essere reticenti, fare finta di niente e ragionare piuttosto sul branco che cambia le identità dei singoli, che trasforma il ragazzo per bene in un delinquente: certo, all'interno del branco c'è anche questo, ma ad Alatri tanta brutalità è figlia delle deviazioni mentali, comportamentali che accadono sotto l'effetto della cocaina, una droga che invece di essere condannata, sta diventando un tragico esempio: chi non ne fa uso è un perdente, uno che non farà mai strada. Quei ragazzi di Alatri dovevano mostrare di essere padroni del territorio, capaci di punire fino alla morte chiunque si fosse messo contro di loro, spadroneggiare e spaventare. S'invoca adesso giustizia con raccapriccianti fiaccolate che trasformano l'idea di giustizia in vendetta, e non si ha il coraggio di riconoscere che questo sentimento di vendetta è figlio di una società malata nelle sue istituzioni essenziali, famiglia e scuola, quelle che dovrebbero presiedere a uno sviluppo dei giovani attento a non farli sbandare con l'esaltazione di modelli comportamentali esasperati nella loro competitività e incapaci di accettare la fragilità, la debolezza, la timidezza quasi fossero, queste, condizioni patologico dell'essere umano.

Ormai non stupisce più nessuno se un ragazzo prende la coca prima di fare un esame universitario: questa è la vera tragedia, mascherata da un'indecente ipocrisia. I delinquenti di Alatri non fanno che imitare i loro coetanei universitari, e il loro esame da superare è di essere i più duri e cattivi del paese.

Stefano Zecchi

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