Se un catalogo può rovinare una mostra

Se un catalogo può rovinare una mostra

Imperdibile la mostra di Tintoretto a Venezia, viaggio tra le gallerie dell'Accademia, Palazzo Ducale, la Scuola di San Rocco, e innumerevoli chiese, in un tripudio di pittura senza fine. Un'esperienza quasi iniziatica. Ma quanto il pittore ci stupisce e ci avvolge, tanto appare inadeguata e irritante (nella grafica, nel taglio delle immagini, nell'impaginazione, nell'impostazione del catalogo) la curatela, a partire dalla irrituale e vanitosa collocazione dei nomi dei due curatori in alto, sopra le istituzioni museali e il nome di Tintoretto.

Non si era mai vista tale involontaria sciatteria, per non parlare della disposizione in catalogo dei dipinti, senza ordine né relazione con le schede, in un continuum saggistico che impedisce di distinguere le opere esposte dalle opere poste a confronto. I due bellissimi Idilli, che un tempo erano «Maddalena» e «Santa Maria Egiziaca» e adesso sono la «Vergine Maria leggente» e la «Vergine Maria in meditazione», non sono in Palazzo Ducale ma hanno riproduzioni più grandi del «Battesimo di Cristo» per la chiesa di San Silvestro, che è in mostra.

Maggior rigore nel catalogo «Il giovane Tintoretto», a cura di tre persone normali.

Ma anch'esse succubi dei due curatori stranieri che sono venuti a confondere le ricerche su Tintoretto, confutando l'impresa di Rodolfo Pallucchini e della sua scuola, per loro «compromessa dall'attribuzione al maestro di opere eseguite invece che dalla bottega o da seguaci». Opinioni che mortificano la bella mostra.

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