Se l'amore non dimentica neppure il padre orco

Se l'amore non dimentica neppure il padre orco

Come la protagonista di una tragedia antica (e dunque eterna). «Non mi lasciare, ti voglio bene», ha pianto disperata Debora, raccogliendo l'ultimo respiro del padre morente. L'agonizzare di quel disgraziato genitore che lei stessa aveva ucciso. Per porre fine ad anni di violenze, dicono già i magistrati. A lei, ma questo sembra essere stata la cosa che le importava di meno, alla nonna e soprattutto alla mamma, per la cui difesa Debora aveva appena sferrato quel colpo mortale. A nulla era servito l'ultimo disperato tentativo di salvarlo, quel «papà fermati, non fare più niente». Poi le lacrime e addirittura l'implorazione della sua benevolenza, in uno straziante «papà perdonami, ti voglio bene». La dimostrazione che non c'è nulla di più insondabile dell'animo umano, lì nel profondo dove il cuore lotta e alla fine ha così spesso la meglio anche sulla ragione più cartesiana. Perfino di fronte all'evidenza più innegabile. E allora diventa meraviglioso, nel senso che suscita infinita meraviglia, quel mistero della vita per cui un padre o una madre restano papà e mamma. Sempre e comunque, anche al di là di ogni buon senso e magari anche dopo avere indossato per lunghissimi, interminabili anni la maschera del peggiore dei mostri. Quello che nega le cose più sacre, l'infanzia a una bambina e l'adolescenza a una ragazzina costretta a vedere il proprio punto di riferimento distrutto dall'abuso di droghe e alcol invece che dedito al lavoro e alla famiglia. Come fanno quelli di tante amiche e compagne di scuola. Ad aspettarlo comunque con ansia la sera, pensando che qualcosa sia finalmente cambiato e a ritrovarselo invece come sempre ubriaco e pronto a menare le mani. Eppure proprio nel momento in cui quell'incubo finisce, invece della gioia a sopraffare Debora è il grido straziato per averlo perso quel padre. Proprio quel padre. Perché a ferirla ancor più delle legnate, ora è un nuovo dolore. Un dolore lancinante e mai provato, quello di un genitore che se ne va per sempre. E questa è la ferita che non sarà più sanabile. L'ha capito, anzi sentito subito dentro le viscere Debora quel vuoto di amore che nessuno potrà mai più riempire, anche se alle botte qualcuno dovesse sostituire le carezze. Non servirà a niente, perché a mancarle da morire saranno quelle mani ruvide e violente da pugile. Perché quelle erano comunque le mani di papà, del suo papà che non c'è più. Non suoni questo come una giustificazione della violenza che va sempre condannata e possibilmente prevenuta con le denunce, soprattutto quando esplode tra le mura di casa, ma ci pensino bene quelli che in questi difficili tempi di famiglie troppo spesso andate in frantumi, aizzano per vendetta (o mediocrità) i figli contro i coniugi, rei magari di qualche colpa. Grande o più spesso piccola. O anche per nulla.

E ricordino, quando arriva diabolica la tentazione, che la legge di natura è sempre per fortuna più forte di quella dei codici. E che anche il peggiore dei genitori, resterà comunque la cosa più importante che ognuno di noi ha ricevuto venendo al mondo.

Giannino della Frattina

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