Le vendite europee di auto sono cresciute, in giugno, del 13,3%, quelle italiane del 12,6 per cento. Nei primi sei mesi le nuove immatricolazioni sono aumentate del 27% in Europa e del 51% in Italia. Sono numeri naturalmente drogati dal rimbalzo avvenuto dopo lo choc della pandemia. Tanto che i produttori di auto considerano solo il 2019 come punto di riferimento per valutare la tendenza, e lamentano di essere ancora in profondo rosso. Tuttavia sarebbe sbagliato sminuire la forza di questo mini-boom attribuendolo sostanzialmente alla debolezza dei 12 mesi che lo hanno preceduto. Dopo tutto anche il «miracolo economico italiano», che gli storici fanno partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta, doveva il suo moltiplicatore a un effetto «decompressione»: una forza in qualche modo uguale e contraria alla devastazione della guerra mondiale, durata ben cinque anni e finita solo da poco, nel 1945.
In altri termini, una ripresa attuale così robusta, tipicamente segnalata da un settore come quello delle vendite di automobili, ci dovrebbe spingere ad avere obiettivi assai ambiziosi. E quindi a deporre l'ossessione del «ritorno ai livelli pre-Covid», da toccare nei primi mesi piuttosto che negli ultimi del 2022, come se si trattasse della riconquista della normalità. Anche perché quella non era la normalità: era un ritmo ben lento di crescita del prodotto nazionale. Basti pensare che, con i dati disponibili nel 2019, gli ultimi prima del Covid, a partire dall'anno 2000 il Pil italiano era cresciuto del 4%, contro il +25% della Francia, il 26,5% della Germania e il quasi 30% della media dei Paesi dell'eurozona.
Secondo la Banca d'Italia l'economia italiana è oggi in piena accelerazione. Tanto che le stime di crescita per quest'anno sono riviste al rialzo ormai ogni 15 giorni. L'ultima previsione, rilasciata ieri, è del 5,1%, quasi mezzo punto in più rispetto a meno di due mesi fa. Allora bisogna partire da questi numeri e da queste stime per creare prima un clima positivo; e poi per rimettere in moto un'economia che dormiva già da decenni, utilizzando questa volta le risorse straordinarie e uniche che ci arrivano dal Next Generation Eu.
Questo è il percorso obbligato e virtuoso che il governo Draghi di unità nazionale sta seguendo, controllando ogni varianza si presenti senza deviare dalla traiettoria principale.
In questo ambito vanno gestiti sia gli effetti collaterali della transizione energetica, sia quelli delle crisi occupazionali. Senza cadere nella tentazione di salvare tutto e tutti: non sarà possibile, ma sarà il prezzo che varrà la pena di pagare.
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