Se la voglia di sballo inizia in famiglia

Se la voglia di sballo inizia in famiglia

«Guarda la famiglia e capisci chi è quel giovane». In parte è un'affermazione sempre valida, d'altra parte si devono fare i conti con l'incontrollata moltiplicazione delle esperienze formative di un ragazzo al di fuori della famiglia. A costo di semplificare, i recenti fatti di cronaca che hanno messo sotto i riflettori giovani criminali, da quelli che tendono l'imboscata al carabiniere e lo massacrano a coltellate, agli altri con gli spray urticanti che provocano una strage in discoteca, a quest'ultimo che lancia un cassonetto giù dalla strada verso una tenda accampata, riducendo in fin di vita un bambino... Insomma tutti questi hanno un denominatore comune: l'alterazione delle proprie facoltà mentali. Droga e alcol. È inutile girarci intorno per cercare chissà quali spiegazioni psico-sociologiche: sono ragazzi che delinquono sotto gli effetti di stupefacenti. Il problema è capire perché se ne fa un uso così smodato.

La droga - la coca - è diventata uno status symbol. È lo stupefacente della società competitiva, di chi deve gareggiare con gli altri per raggiungere il successo. Una situazione, questa, esattamente parallela a quella dello sballo dei giovani che non si trovano in un consiglio d'amministrazione o in un'aula di tribunale, ma in discoteca. Gli adulti alterano le proprie facoltà mentali per competere, i ragazzi sballano per farsi vedere agli altri e a se stessi grandi e coraggiosi nel trasgredire la normalità, il rispetto dell'altro.

Un genitore che «tira» pensa di poter educare il proprio figlio al rispetto delle regole? Molto difficile. Un adulto si giustifica in cuor suo dicendo che il mondo in cui vive è così competitivo che con le sue forze non ce la fa e deve aiutarsi con qualcosa. Ma un giovane?

Con lo sballo rinuncia al suo cervello, cioè a dare un senso plausibile alla sua vita. Non raggiunge livelli maggiori di creatività, di visione delle cose, ma precipita in un buco nichilista dove tutto e il contrario di tutto sono la stessa cosa. Un nichilismo che con indifferenza lo porta al crimine.

Si può correre ai ripari? Certamente, ma non può essere che la famiglia il punto di riferimento. La famiglia e, subito dopo, la scuola. Ma non siamo messi bene. Si è fatto strada un compiacimento culturale che demolisce la semplicità naturale della struttura familiare con il suo ruolo di garante dell'ordine, del rispetto delle forme, delle buone maniere e della correttezza del linguaggio. L'educazione che dovrebbe dare la scuola ha successo se essa entrasse in sintonia con la famiglia: ma sono due corpi il più delle volte separati tra loro.

Dunque, genitori che fanno uso di stupefacenti, famiglie incapaci di educare, demolizione culturale dell'idea di famiglia, scuola che arranca... Come ci si può stupire che i giovani più fragili sballino e delinquano?

Il mondo giovanile si è divaricato, non c'è una via di mezzo tra ragazzi di grande qualità, che studiano, che ottengono ottimi risultati professionali, e i ragazzi che sono alla

deriva e per i quali c'è solo da sperare che la buona sorte eviti loro il peggio. Le differenze tra questi due tipi di giovani non si basano sul censo familiare, ma innanzitutto sull'intelligenza e il cuore dei genitori.

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