Politica

Segnali tra i due Mattei. "I renziani lascino l'Aula"

Segnali tra i due Mattei. "I renziani lascino l'Aula"

Primo aneddoto della serie «scenari in movimento». A metà del pomeriggio di ieri Giancarlo Giorgetti, mente pensante della Lega, incontra per caso su via della Missione, proprio nel punto in cui Palmiro Togliatti si beccò tre colpi di pistola nel '48, Paolo Romani, ideatore di un gruppo parlamentare di forzisti che nasce tutti i giorni per non nascere mai: «Paolo - lo investe - ma che ti sei messo in testa? Di andare con un Conte moribondo?». L'altro, ovviamente, offre un'altra versione: «Ti pare!? Vogliamo fare un gruppo alternativo a Forza Italia dentro il centrodestra». Ma la questione serve allo stratega leghista solo per introdurre un argomento ben più importante: «A votare non si va e abbiamo un'occasione storica per fare uno sforzo comune per tirar su il Paese. Solo che non si può fare con Conte. C'è bisogno di altro. Lo dico da sei mesi. Forse Renzi lo ha capito, bisognerà vedere se si muove. Con l'Italia che chiuderà il primo trimestre di quest'anno con un -0,2, -0,3%, anche Draghi si convincerà a fare il premier per salvare il Paese. Poi lo eleggeremo capo dello Stato e va bene. L'importante che tutti gli altri, da Franceschini a Conte, la smettano di pensare al Colle. E che la Meloni capisca che si tratta di un'occasione storica e la finisca di giocare! Poi c'è questa storia di Salvini accusato di sequestro di persona: una follia! Solo che siamo in Italia e su queste cose non si può scherzare. Se si comincia con un processo dopo l'altro, si va avanti per anni, gli avvocati costano e noi non siamo Berlusconi».

Secondo aneddoto di «scenari in movimento». Sempre un leghista, Stefano Candiani, uno degli uomini ombra di Matteo Salvini, in un'altra location al centro di Roma, via delle Colonnelle, ad un tiro di schioppo dal Senato. «Con la riduzione dei parlamentari - è la sua premessa - questa legislatura non schioda, durerà e potrà fare o riforme strabilianti, o cagate. L'importante è emanciparsi da quella parte dei grillini che non ha l'attitudine a governare. Renzi può aprire questa strada, si può arrivare anche al governo Draghi, deve, però, al di là dei contatti che ci sono stati, staccare la spina a questo governo, o, almeno, lanciare un segnale, un ponte verso di noi. È difficile immaginare un dialogo se questi fucilano Salvini nell'aula del Senato prima sulla vicenda della nave Gregoretti, poi su Open Arms. Così si creano anche rancori personali. Noi domani (oggi ndr) usciremo dall'aula, lo facciano pure i renziani, lascino ad altri il compito riprovevole di fucilare Salvini».

Appunto, la situazione si è messa in movimento. La battaglia sulla prescrizione promossa dentro la coalizione di governo da Matteo Renzi è il primo segnale che, venuto meno il rischio elettorale, tutti si sentono più liberi in un Parlamento che piano piano si adegua al ritorno al proporzionale: su singoli temi, su emergenze, su governi straordinari ci possono essere anche alleanze trasversali. Bisogna vedere ora se Renzi su quella «follia» che è l'accusa a Salvini di sequestro di persona, avrà il coraggio di giocare una sua partita al Senato, se lancerà un ulteriore segnale, oppure tornerà com'è più probabile nei ranghi della coalizione giallorossa: «Fatico - è la battuta che ha regalato ieri - a vedere un reato nell'operato di Salvini. Vedo semmai un errore politico da battere politicamente. Ma visto che lui ha detto di voler essere processato, lo accontenterò».

La verità è che per tentare strambate così complesse, senza rischiare di rompersi l'osso del collo ci sarebbe bisogno di un tasso di fiducia tra i protagonisti che ancora non c'è. Detto questo, la battaglia sulla prescrizione ha permesso a Renzi di occupare una posizione centrale tra i due schieramenti. Il premier Conte aveva addirittura cercato di accerchiare il leader di Italia viva, chiedendo attraverso Gianni Letta il sostegno di Forza Italia. Un vero azzardo: si può pretendere dagli azzurri tutto meno che di sostenere una legge sulla giustizia difesa dai grillini. Tant'è che lunedì scorso il Cav ha telefonato a Renzi per rassicurarlo: «Conte sulla prescrizione non avrà un voto di Forza Italia». Così, con le spalle coperte, l'ex segretario del Pd ha potuto smontare la strategia di Zingaretti e Franceschini: l'idea di introdurre l'accordo sulla prescrizione di Pd-5stelle-Leu nel decreto Milleproroghe, con tanto di fiducia, è stata accantonata; ora c'è l'ipotesi di inserirla con un emendamento nella legge dell'azzurro Costa, stravolgendola, che sarà esaminata tra qualche settimana alla Camera. O in un disegno di legge ad hoc. In assenza di una nuova intesa i renziani voteranno con il centrodestra, probabilmente l'attuale maggioranza ce la farà lo stesso, ma la questione si riproporrà quando il provvedimento arriverà al Senato. E lì, visti i numeri, la maggioranza rischia di andar sotto. «Volevano stringerci in un angolo - è il commento che lo stesso Renzi ha fatto con i suoi - e hanno fallito. Franceschini ha bluffato, io sono andato a vedere il bluff e lui ha preso una botta. Il problema è Conte che deve dimostrare di saper fare il premier. Se tentassero un'altra forzatura con un emendamento sulla legge Costa commetterebbero un altro errore. Avrebbero fatto meglio ad accontentarsi del rinvio dell'introduzione della legge Bonafede». Una sensazione che ha cominciato a farsi largo negli altri partiti della coalizione. «Renzi - osserva il sottosegretario grillino Castaldi - è un abile corsaro, a differenza di Salvini che è solo matto, basta guardare in che situazione si è cacciato sulla Gregoretti. Noi invece dobbiamo ancora imparare: a cose fatte sarebbe stato meglio accettare il rinvio». Un ragionamento condiviso da molti anche nel Pd. Graziano Delrio non parla, ma annuisce. «Ai grillini mancano le basi» ammette la Serracchiani. Mentre Matteo Orfini è ancora più esplicito: «I miei hanno fatto una battaglia sbagliata e hanno regalato a Renzi un palcoscenico».

La verità è che il leader di Italia viva ha capito prima degli altri che con la probabile riduzione dei parlamentari siamo entrati in una sorta di semestre bianco «artificiale», in sintesi nessuno vuole andare ad elezioni e in questa condizione particolare è possibile tentare anche le acrobazie più rischiose nelle prese di posizione e nelle alleanze. Un'intuizione che comincia a contagiare anche gli altri. «Dovremmo - ammette il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando - guardarci tutti negli occhi e approfittare di una legislatura che dura per fare cose serie. C'è chi se ne è accorto: la Lega è diventata più ragionevole e io ho messo sul tavolo riforme come il cancellierato e la sfiducia costruttiva. Così oltre alla legge elettorale, importeremmo l'intero sistema tedesco». «Al voto - ammette lo stesso Pierluigi Bersani - per mille ragioni non si andrà. Solo che abbiamo una politica irrisolta. C'è il rischio di andare avanti solo per inerzia e, invece, potrebbe essere l'occasione per promuovere riforme importanti insieme a tutti quelli che hanno a cuore il bene del Paese. Vuol dire che personaggi come il ministro dell'Economia, Gualtieri, e Giorgetti, dovrebbero parlarsi. Ma se lo scrivi ti uccido».

Scenari in movimento: tutti possono essere «centrali», tutti possono ritrovarsi «isolati». Scenari che quello che per molti è il «predestinato», Mario Draghi, guarda con distacco.

A chi lo va trovare, cioè tanti, si limita a rivolgere solo questa preghiera: «Smettetela di dire che ho quattro alani, io ho due labrador».

Commenti