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"Silvio mi manca sempre. E ho un ultimo sogno"

Ristorante Al Matarel, quartiere Brera, la Milano degli artisti e delle grandi firme, fra via Solferino e una città che non c'è più e ha barattato i mondeghili coi monopattini, ed è contenta così

"Silvio mi manca sempre. E ho un ultimo sogno"

Ristorante Al Matarel, quartiere Brera, la Milano degli artisti e delle grandi firme, fra via Solferino e una città che non c'è più e ha barattato i mondeghili coi monopattini, ed è contenta così. Trattoria storica, già feudo craxiano - «Me lo ricordo, certo: qui (...)

(...) Craxi radunava i suoi fedelissimi, tutti i lunedì. Ogni tanto lo incrociavo. Non stava mai seduto, passava da un tavolo all'altro per parlare con tutti, piluccava nei piatti. Un grande politico. Preciso e deciso. Dava sicurezza» - ora è il ristorante-ritrovo dei giornalisti in pausa pranzo. Si mangia bene, è discreto, si può parlare senza alzare la voce. Il posto perfetto per incontrare il Dottore.

Ex politico, ex dirigente d'azienda, ex Senatore, palermitano a vita, 82 anni, cinquant'anni dei quali accanto a Silvio Berlusconi e cinque di carcere, Marcello Dell'Utri è elegante abito scuro, camicia nera, niente cravatta, perfettamente sbarbato, bastone in ottone argentato, capelli bianchi ed eminenza grigia della politica ma affaticato. Arriva da una visita dal suo oncologo. «Come sto? Come direbbe un libraio antiquario di una cinquecentina: Frontespizio abraso, manca una pagina, rilegatura non dell'epoca, ma per il resto copia perfetta. Stessa cosa». Sicilianità e ironia.

Si siede al tavolo, apre un portapillole d'argento, mette sulla tovaglia undici pastiglie di diversi colori. «Ho un tumore».

Ha paura?

«No. Preoccupazione semmai».

Per cosa?

«Di non riuscire a vedere finita la biblioteca che aprirà ad Agrigento, nella Valle dei Templi. A trecento metri dal tempio di Giunone, un edificio restaurato per l'occasione ospiterà la parte della mia collezione di libri di argomento siciliano o di autori siciliani. Sarà la più grande e completa biblioteca tematica sulla Sicilia. Più di 12mila volumi e alcuni pezzi unici: il manoscritto del Mastro Don Gesualdo, lettere autografe di Campana e Pirandello, il carteggio di 2mila lettere del Barone Vincenzo Mortillaro, autore nell'800 di uno straordinario Dizionario siciliano-italiano che tenne rapporti con tutti gli intellettuali del suo tempo, come Leopardi, del quale c'è una bella lettera... La Biblioteca porterà il mio nome. La Biblioteca 'Utriana. E sarà il segno del mio passaggio su questa terra».

Quando aprirà?

«Tutto dovrebbe essere pronto per l'estate-autunno dell'anno prossimo, comunque prima del 2025 quando Agrigento sarà capitale italiana della Cultura. È il progetto su cui ormai concentro tutte le mie energie».

Anche i suoi soldi? Berlusconi le ha lasciato 30 milioni in eredità. Sono arrivati?

«Stanno arrivando, la burocrazia è lunga. Sì, userò in parte anche quei soldi. Pagherò l'8% di tasse. Otto per tre, 24... Trenta meno due milioni e 400mila euro: fa 27 milioni e 600mila. Sono assillato da gente che mi chiede denaro ormai. Ma posso togliermi lo sfizio di acquistare qualche altro fondo librario, chissà».

Berlusconi è stato generoso.

«Mi manca molto. Mi mancano i pranzi del sabato con lui ad Arcore. Mi manca quando mi chiamava, anche di notte, perché aveva una cosa nuova da dirmi, un'idea, un progetto. Non staccava mai. Tre giorni prima di entrare al San Raffaele, dove sarebbe morto, mi invita a pranzo. Stava lavorando a un documento per definire le regole della nuova Forza Italia. Tu puoi fare il selezionatore dei candidati, mi disse...».

Cosa gli rispose?

«Se me lo chiedi tu lo faccio, ma non è che la cosa mi entusiasmi... Poi ne parliamo. Ma non ci fu tempo. Morì pochi giorni dopo».

Che uomo era Berlusconi?

«Sempre capace di inventare qualcosa. Sempre con una idea nuova. Arricchiva le persone che aveva attorno. Era unico, sia umanamente che politicamente. E dava consigli a tutti. Guardava molto la tv, anche negli ultimi tempi, ed era capace di telefonare a Signorini perché l'aveva visto senza cravatta. Siamo in prime time! Bisogna essere eleganti! Mettiti la cravatta!. Attento e critico. Berlusconi era così».

Quando lo ha conosciuto?

«Negli anni '60. Dopo la maturità classica a Palermo venni a Milano per studiare Legge, all'Università Statale. Frequentavo l'Opus Dei e un mio amico, Bruno Padula, che oggi è sacerdote, mi disse: Ti do il numero di un mio compagno che si è appena laureato alla Statale. È un po' gasato ma bravissimo. Chiamalo: ti aiuterà. Così feci. Mi ricevette in via Mercato 5, dove Silvio aveva appena aperto ufficio. Erano solo lui e una segretaria. Sulla targa c'era scritto: Cantieri riuniti milanesi, quella che poi sarebbe diventata la Edilnord. I Cantieri sono io, Riuniti è la Segretaria, milanesi siamo tutti e due, scherzò con il suo tipico sorriso. Costruiva palazzi e condomini, soprattutto in periferia. Con un'idea azzardata, ma vincente: ci metteva i campi da tennis, la sauna, piantava gli alberi... Gli altri costruttori dicevano che era pazzo e i costi erano troppo alti, che sarebbe fallito. Invece stava preparando quello che sarebbe diventato il quartiere Brugherio, 3200 abitanti, che era già una piccola Milano 2. Poi la storia la conosciamo...».

Cosa le disse Berlusconi quando lo conobbe?

«Che era campione italiano di 80 metri piani studenteschi, che era campione di canottaggio...».

Era vero?

«Mah... La verità è che aveva grandissime capacità di sintesi e nel risolvere problemi. Lui era già laureato, io iniziavo l'università. Mi disse: Non preoccuparti di frequentare le lezioni. Vai solo l'ultimo mese, mettiti in prima fila e fai molte domande. Così i professori si ricorderanno di te all'esame. Ah: e se vedi che vanno in bagno, seguili. E quando sei lì, salutali. Sapranno chi sei. E poi lui per ogni esame aveva preparato degli appunti ciclostilati che vendeva la Libreria Cortina, di fronte all'università. Ci aveva fatto un business. Adesso che ci ripenso, era davvero incredibile... Comunque, diventammo amici. Poi mettemmo su anche una squadra di calcio di categoria Allievi, la Torrescalla, sponsorizzata dalla Edilnord».

Non le chiedo chi fosse il presidente.

«Ecco, appunto. Io ero l'allenatore, suo fratello, Paolo Berlusconi, il centravanti, e Silvio il Presidente. Il fatto però era che io facevo la formazione, poi lui la leggeva e iniziava a cambiare ruoli e giocatori, ribaltando tutto. E allora fattela tu, gli dicevo. Però poi io andai dirigere un centro sportivo dell'Opus Dei a Roma. Ero allenatore federale, con tanto di corso a Coverciano e tesserino. La storia è lunga... Insomma, a un certo punto mio padre mi dice: Ma non è ora di togliersi i pantaloncini e lavorare seriamente?. Così mi fece assumere alla Cassa di Risparmio delle Province Siciliane. Erano gli anni '70. Feci anche una certa carriera».

Poi riappare Berlusconi.

«Un giorno mi chiama e mi dice: Sto arrivando con la mia barca in Sicilia, vado a Lampedusa. Dài, vieni con me un paio di giorni. Stava costruendo Milano 2 e mi dice che aveva bisogno di persone di fiducia che lavorassero con lui. E alla fine mi convinse. Lasciai la Sicilia e mi trasferii a Milano. Sta di fatto che la mia vita cambiò. Telemilano, Canale 5, le televisioni private, il Milan...».

E l'epopea di Publitalia: la concessionaria di pubblicità della Fininvest di Berlusconi.

«La Rai all'epoca, inizio anni '80, nei suoi programmi aveva pochi spazi per gli spot pubblicitari. Le aziende si mettevano in coda per poter fare la pubblicità. Per dire: l'Amaro Averna riuscì ad avere il suo primo tic-tac in Rai grazie a una raccomandazione del vescovo di Caltanisetta che conosceva il responsabile degli spazi pubblicitari dentro la Rai, uomo tutto casa e chiesa. Per dire lo sbilanciamento fra domanda e offerta. Noi invece non avevamo limiti. Certo: Publitalia fece affari d'oro ma noi abbiamo dato alle aziende la possibilità di farsi conoscere e svilupparsi. Siamo noi che abbiamo arricchito loro, alla fine».

Lei era il Numero uno di Publitalia.

«Sceglievamo i laureati migliori che uscivano dalla Bocconi e dalla Luiss. E poi li preparavamo noi. Prima i venditori erano figure anonime, che parlavano solo di marketing. Noi gli davamo una formazione umanistica. I corsi di aggiornamento per i nostri manager li tenevano monsignor Ravasi, Giuseppe Pontiggia, Umberto Galimberti, Beniamino Placido, Vittore Branca, Enzo Bettiza... Da Publitalia sono usciti manager arrivati ai vertici delle maggiori aziende italiane».

Poi, quando scese in campo, il Cavaliere le chiese di selezionare i candidati del nuovo partito.

«Dopo Mani Pulite Berlusconi capì che se non si fosse costituito un fronte moderato i comunisti avrebbero vinto le elezioni. Incontrò Segni, Martinazzoli e tanti altri... Alla fine si decise: Ho capito che dobbiamo farcelo noi un partito!. E come?, dicevo io. Fallo tu, Marcello!. Sei un bravo organizzatore, scegli tu le persone. Mi diede solo una regola. Non prendere nessuno che arrivava già dalla politica. Toccò a me dover cercare i candidati. Per 415 collegi... Fu così che comincia la selezione partendo dai quadri di Publitalia, che divennero i dirigenti di Forza Italia».

Scelse i migliori.

«Stando attento a non distrarre gli uomini fondamentali per l'azienda. Sa, il fatturato...».

Come andò?

«Era il '93. La squadra era fatta dai 27 uomini del Presidente, tutti manager di Publitalia. Ci radunavamo ogni lunedì all'Hotel Jolly, a Milano 2, per scegliere i candidati sul territorio, regione per regione. Veniva anche Berlusconi, per verificare lo stato dei lavori. I candidati da trovare erano così tanti che a un certo punto ci inventavamo dei nomi fasulli, così che Silvio non si scoraggiasse. Siamo a buon punto, sta andando bene, dicevamo. In realtà era dura. Un lunedì mattina presto Berlusconi mi chiama e mi dice: Stanotte non ho dormito. Ho avuto una discussione pesante con Confalonieri, Letta e mia moglie. Continuano a dire di lasciare perdere. Annulliamo tutto. Stamattina non vengo. E io gli risposi: Io invece vado. E così feci».

E poi?

«Alle 9 arrivò anche lui. Era tutta una scena. Voleva solo capire se ero motivato e convinto quanto lui. Era fatto così...».

Lei fu uno dei pochi che appoggiò l'entrata di Berlusconi in politica.

«La maggior parte delle persone che gli stavano vicine erano contrarie. A partire da Confalonieri. Letta lo chiamavamo Smorza Italia, perché era poco convinto. Io lo assecondai perché avevo capito che non si sarebbe mai fermato. Il Pci avrebbe stravinto. Se lo ricorda? Erano così sicuri di prendersi il Governo che avevano già la lista dei ministri prima di andare a votare. Nessuno credeva che Berlusconi vincesse. D'Alema disse che voleva vedere Berlusconi chiedere l'elemosina in via del Corso... E invece».

E invece per trent'anni, dal quel 1993 al 2023, Berlusconi è stato l'italiano più amato, contestato, osannato, odiato. Comunque un protagonista. E lei sempre vicino a lui.

«Grazie a Berlusconi ho vissuto dieci vite. Senza di lui probabilmente oggi sarei un ex direttore di banca in pensione».

Ma non avrebbe fatto il carcere.

«Per concorso esterno in associazione mafiosa... Strano reato per cinque anni in cella».

Com'è il carcere?

«Un incubo».

Ma?

«Nessun ma. Un incubo. Ho solo cercato di non farmi annullare. Mi sono iscritto a Storia, all'Università di Bologna. Mi dicevo: agli esami verrà a esaminarmi una commissione di comunisti, mi bocceranno... Invece dare gli esami era bellissimo. E ho sempre preso voti altissimi. Leggere e studiare mi ha salvato. Assieme all'affetto della mia famiglia e degli amici, come Confalonieri e Niccolò Querci che venivano a farmi visita tutti i mesi».

A Rebibbia ha organizzato una piccola biblioteca universitaria, con un'aula di studio.

«Con i computer che mi sono fatto dare da Mediaset. I detenuti che la usano mi scrivono ancora».

Come si comportavano con lei gli altri carcerati?

«Benissimo. Mi rispettavano. Ho dovuto smettere di bere caffè, dicendo che il medico me lo aveva proibito, perché a ogni passo mi chiamavano in una cella per offrirmelo. E così ho smesso anche di fumare il sigaro. Forse a volte il carcere fa bene... Comunque ho conosciuto persone incredibili. C'era un ucraino, scassinatore professionista, finito dentro perché tradito da un palo, che andava in giro con una scacchiera sotto il braccio cercando qualcuno con cui giocare. Io dissi: Non sono bravo, so solo come si gioca. Ma facciamoci una partita. Fu così intelligente da farmi vincere la prima, così continuai... Non ho mai più vinto naturalmente. Mentre giocava mi spiegava i colpi che avrebbe fatto quando sarebbe uscito».

A Parma invece ha organizzato la biblioteca del carcere che non c'era.

«Che era chiusa negli scatoloni da tempo, l'ho allestita e catalogata volume per volume. E lì, su un libro, ho trovato la più bella dedica che mi sia mai capitato di leggere. E tenga conto che in Via Senato sono arrivato ad avere 120mila libri, moltissimi dedicati... Era quella di un carcerato, che era lì negli anni '50. Diceva: A me stesso. Con tanta stima e affetto. Fu un regalo bellissimo che si fece».

E il suo, a questo punto della vita, quale è?

«La Biblioteca 'Utriana, gliel'ho detto».

Come è stata la sua vita?

«Più intelligente di me.

Io ho scelto poche cose, sono le cose che hanno scelto me».

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