Quella sindrome dell'assedio che tormenta lo Zar

Putin non ha alcuna fretta di chiudere il conflitto, sa che in termini militari i tempi lunghi giocano a suo favore

Quella sindrome dell'assedio che tormenta lo Zar
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Bisogna conoscere a fondo la biografia personale di Vladimir Putin per comprendere bene il suo approccio con la guerra e valutare la reale volontà di giungere a una conclusione del conflitto con l'Ucraina e in che termini. Al potere da oltre un ventennio, Putin nasce nell'allora Leningrado nel 1952, in un tempo in cui era ancora vivissima la memoria dell'assedio nazista alla città, uno dei più feroci e tragici della storia, costato la vita ad oltre seicentomila civili, secondo le cifre presentate a Norimberga. Durante l'assedio muore di difterite anche un fratello che Vladimir non ha mai conosciuto. La sindrome dell'assedio e dell'attacco che viene da occidente appartengono alle sue origini, come pure la tendenza a risolvere con la forza le questioni.

Quando era a capo del Kgb di Dresda, al momento del crollo dell'Urss, la loro sede fu circondata dalla folla inferocita, Putin scese in strada per affrontare, con una pistola in tasca i manifestanti e spiegare loro che non c'erano detenuti politici in quel luogo. Da primo ministro di Eltsin fu l'uomo della svolta della guerra in Cecenia imprimendo un'accelerazione violenta e radicale al conflitto con massicci bombardamenti. Per come sono congegnati la storia e la tradizione russa, non esistono alternative, il capo o va avanti oppure non potrà sperare di potersi ritirare a giocare golf in un tranquillo resort.

A scanso di equivoci chiariamo che, nella vicenda Ucraina, non c'è alcun dubbio su chi sia il carnefice e quale sia la vittima, su chi abbia violato il diritto internazionale invadendo militarmente una nazione sovrana. Le responsabilità, evidenti come non mai, sono della Russia di Putin. Tuttavia, la storia, nei suoi snodi fondamentali è fatta di realismo.

Putin non ha alcuna fretta di chiudere il conflitto, sa che in termini militari i tempi lunghi giocano a suo favore. La storia ha insegnato nei secoli che i russi hanno dalla loro parte la tragica possibilità di gettare nella fornace della guerra milioni di persone fino a sfinire l'avversario. È una strategia cinica e feroce ma che si è ripetuta con successo più volte. L'unico deterrente è dato da altrettanta forza. Inoltre, le sanzioni non hanno determinato il tracollo dell'economia russa. Abituato alle risse di strada il capo del Cremlino sa di avere ora il coltello dalla parte del manico.

Quella che si sta giocando è anche una sottile partita psicologica, dove l'ex agente del Kgb ha una formazione specifica, pazienza e astuzia, abituato a fare appostamenti notturni di ore quando era un operativo. Putin gioca sul fatto che l'Ucraina senza il sostegno Usa è destinata a crollare. Nelle prossime settimane occorrerà capire se Donald Trump terrà ferma la volontà di smantellare o ridurre l'aiuto all'Ucraina, oppure se irritato di fronte a una mancata adesione di Putin alla richiesta di tregua deciderà di tornare sulla strada di un sostegno militare forte. Si capirà se il presidente Usa avrà la voglia e la forza di interrompere la melina russa.

Nei mesi scorsi è stata molto adoperata la formula di una «pace giusta», che risponde indubbiamente a un imperativo morale. Ma è una formula. In questo quadro il massimo che si potrà ottenere è una soluzione coreana: una tregua che fotografi lo status quo, destinata, piaccia o meno, a diventare permanente. Finanche Macron ha affermato che gli «ucraini sanno di non poter avere tutti i loro territori», Trump ha ammesso che la «Crimea rimarrà russa», Zelensky ripete che è dell'Ucraina.

Tutti sanno che a questo punto il problema non è neanche più la Crimea, il cui destino è segnato, quanto gli altri territori che la Russia ha occupato e sul cui dominio vorrebbe una sanzione formale.

D'altronde Zelensky sa che la fine del conflitto potrebbe determinare la sua fine politica con nuove elezioni.

In queste ore, quella pace che sembrava poter essere a portata di mano si è

allontanata, la prospettiva è che la guerra, sia pur con minore intensità rispetto allo scorso anno, continui. Molto spesso le analisi non tengono conto del peso della storia e del profilo mentale dei personaggi in campo.

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