La sindrome di Stoccolma della sinistra per il fascismo

Al Museo del Risorgimento di Milano documenti, foto, riviste e disegni dell'epoca del Mussolini socialista

La sindrome di Stoccolma della sinistra per il fascismo

A Milano, al Museo del Risorgimento, ieri è stata inaugurata una piccola mostra. Intitolata 1919-1926: il fascismo da movimento a regime (fino al 24 marzo) racconta - attraverso una documentazione originale ricchissima: giornali, riviste, volantini, manifesti, libri, vignette, disegni, fotografie - la nascita dell'esperienza politica che più di ogni altra ha segnato storia, vita e memoria recente del nostro Paese. A un secolo di distanza da quegli avvenimenti, ecco come il Mussolini socialista rivoluzionario s'infilò nel tunnel della dittatura. Vale la pena ricordarlo. Il 21 marzo 1919 in piazza San Sepolcro a Milano nasceva il «Fascio di combattimento». Erano arditi, nazionalisti, futuristi, interventisti e sindacalisti rivoluzionari guidati da un ex socialista ultramassimalista, Benito Mussolini, già direttore de L'Avanti, espulso dal Psi e in quel momento alla guida del Popolo d'Italia. L'obiettivo era un cambiamento radicale della società: suffragio universale col voto esteso alle donne, abolizione del Senato, Assemblea costituente per decidere la forma dello Stato, ruolo legislativo per le rappresentanze professionali e di mestiere, otto ore di lavoro, riduzione dell'età previdenziale a 55 anni, sequestro dei beni delle Congregazioni religiose... Un programma di ultra-sinistra. Poi accadde quello che accadde, e Mussolini - diventato Duce - rivendicò persino la responsabilità politica del delitto Matteotti...

La mostra di Milano, divisa in quattro sezioni (dall'interventismo al biennio 1925-26), ognuna delle quali corredata dall'esposizione della stampa di regime e di opposizione e dalla satira del periodo, è ricchissima, intelligente, utile. E, al netto di una locandina graficamente così celebrativa da sembrare disegnata da un nostalgico di Terza posizione, è organizzata dalla Fondazione «Anna Kuliscioff», pietra angolare della storia del pensiero socialista. Il cui presidente, Walter Galbusera, ammette una semplice verità, a dispetto del ridicolo antifascismo al tempo dei fascistometri: «Si possono ritrovare oggi analogie ed episodi assimilabili con le vicende che portarono, un secolo fa, il fascismo al potere. Ma difficilmente la storia si ripete e soprattutto il contesto di oggi è profondamente diverso». Nessun pericolo per la tenuta democratica del Paese. Bene così. Per il resto non rimane che notare una persistente sequela di «celebrazioni» da sinistra del fascismo, soprattutto il fascismo rosso (e non c'è uomo di sinistra che oggi non sottoscriverebbe i principî sociali del fascismo rivoluzionario, o della Carta del Carnaro o della Costituzione della Repubblica sociale...). Incapace di liberarsi dal fascismo, che è di volta in volta ossessione o fascinazione, alla fine la sinistra ne rimane in ostaggio, vittima di una sindrome di Stoccolma intellettuale, per cui si rimane legati a ciò che più è pericoloso alla propria sopravvivenza. Si demonizza il fascismo come male assoluto, ma se ne resta sedotti. Con effetti spiazzanti. La straordinaria mostra Art Life Politics: Italia 1918-43 alla Fondazione Prada di Milano curata da Germano Celant (occorreva il suo pedigree per fare una cosa del genere senza essere accusati di apologia di regime); il museo del Fascismo fortemente voluto dal sindaco (del Pd) di Predappio; l'empatico romanzo M.

(Bompiani) del liberal Antonio Scurati; la mostra sul fascistissimo premio Cremona, a Cremona (giunta di centrosinistra)... Piccoli esempi di come la sinistra che vede fantasmi dappertutto, non riuscendo a seppellirli, finisce col resuscitarli.

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