Soldi e regime: e se la Russia fosse davvero tigre di carta?

Peskov a Trump: "La Russia è un orso". Ma economia e regime dipendono dalla guerra

Soldi e regime: e se la Russia fosse davvero tigre di carta?
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Per una volta sembrano disorientati anche i russi. La girandola di dichiarazioni di Donald Trump, impegnato nel suo quotidiano talk show politico, li obbliga in questo momento a giocare in difesa. "Non abbiamo alternative alla guerra", dice il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov. "Combattiamo in Ucraina per tutelare i nostri interessi, per il presente e il futuro del nostro Paese". Quanto alle frasi del presidente Usa, secondo cui la Russia "è una tigre di carta, con un'economia in crisi" la risposta di Peskov non è mancata, ma è stata più ad effetto che di sostanza: "La Russia non è una tigre, di solito viene associata a un orso. E non esistono orsi di carta".

Nei fatti, se si guarda all'economia, Trump non sembra avere tutti i torti, anche se nel corso degli ultimi tre anni le previsioni sulla crisi dell'ex Unione Sovietica si sono rivelate più volte sbagliate. Peskov, per la prima volta, ha ammesso la presenza di "qualche elemento di tensione" nell'andamento del sistema produttivo, attribuendolo, però, "alla confusione esistente sui mercati globali".

In realtà ieri da Mosca sono arrivate un paio di notizie che fanno pensare a qualche sostanziale incrinatura di origine tutta interna. La prima ha a che fare con il progetto di budget statale per il 2026 attualmente in preparazione: per sostenere le entrate il ministero delle Finanze ha proposto un aumento dell'Iva dal 20 al 22%. Putin l'aveva sempre escluso, parlando di un quadro fiscale sostanzialmente immutato fino al 2030. Ora qualcosa è cambiato. Per esempio le entrate da gas e petrolio: nel corso del 2025 sono calate di un altro 20% e passa rispetto all'anno precedente (quando si erano già sostanzialmente ridotte) con relativa flessione negli incassi dell'erario. Per chiudere il buco di bilancio il Cremlino corre il rischio di un ulteriore raffreddamento dell'economia (solo qualche mese fa Putin aveva detto che era un pericolo da evitare a tutti i costi).

Gli ultimi dati presentati dal premier Mikhail Mishustin parlano di una crescita intorno all'1% per l'anno in corso (le previsioni più recenti erano di un aumento del 2,5%) senza nessuna sostanziale ripresa per l'anno prossimo. Con settori importanti, come quelli legati alla guerra, che navigano a vele spiegate, sono dati che descrivono un'economia "civile" in piena recessione.

A testimoniare la delicatezza del momento e l'imbarazzo del Cremlino è l'attenzione con cui i media ufficiali hanno di fatto nascosto l'aumento delle tasse. A essere ormai avvertita dalla popolazione è invece la mancanza di benzina ai distributori. In intere regioni, come la zona del Volga, il sud, la Russia centrale, l'Estremo oriente, le stazioni di servizio non consegnano più di 10/20 litri per macchina. Nelle zone vicine alle città importanti come Mosca è stata vietata la distribuzione di carburanti in taniche (c'è già chi ha cominciato a procurarsi delle riserve). L'Izvestia, giornale che ha dedicato un articolo al tema, cita incongruamente tra le cause della scarsità la "manutenzione" di alcune raffinerie. In realtà a pesare sono stati i droni ucraini che nelle settimane scorse, con una serie di bombardamenti mirati, hanno ridotto sostanzialmente la capacità di raffinazione dell'avversario.

Vista anche la proverbiale capacità di sopportazione del popolo russo, non sarà qualche piccolo inconveniente alle pompe di benzina a far finire il conflitto. E quando Peskov parla di mancanza di alternative alla guerra ha ragione: l'intero sistema politico messo in piedi dal Cremlino è una gigantesca macchina bellica. Ogni voce fuori dal coro è stata zittita, ogni strumento di propaganda è stato scientificamente utilizzato per orientare alla battaglia finale.

Senza contare che nessuno può nemmeno immaginare cosa succederebbe con il ritorno dei 700mila soldati russi impegnati al fronte. Nella memoria, forse anche di Putin, c'è l'insoddisfazione dei reduci dell'Afghanistan. Secondo qualcuno furono loro a far cadere il regime comunista.

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