Politica

Il solito alibi che paralizza il governo

L'equazione è semplice: se il prolungamento dello stato di emergenza al 31 gennaio ha un senso, dovrebbe avere come corollario la richiesta del Mes

Il solito alibi che paralizza il governo

L'equazione è semplice: se il prolungamento dello stato di emergenza al 31 gennaio ha un senso, dovrebbe avere come corollario la richiesta del Mes. Se così non fosse, ci sarebbe una contraddizione in termini nell'operato di Giuseppe Conte e del suo governo: sarebbe come andare a una guerra, in questo caso contro il Covid, senza soldi, perché tra interventi assistenziali, ordinari, emergenziali di soldi non ce ne sono più. E non c'è da meravigliarsi se il parlare oggi solo di Recovery Fund quando non ci sono ancora i progetti e, in piena onestà, nessuno sa quando arriveranno i finanziamenti, induce il presidente del Senato, Elisabetta Casellati, a cantare un vecchio successo di Mina: «Parole, parole, parole, soltanto parole...». Appunto, rinvia oggi, rinvia domani, fatalmente per il premier la richiesta del Mes dovrebbe essere la prova del nove che un nuovo stato d'emergenza non ha solo una motivazione politica, non è solo un approdo sicuro per mettere il suo immobilismo al riparo da ogni critica: senza il secondo passo, infatti, il primo rischia di apparire strumentale. Lo ammette sottovoce pure buona parte della sua maggioranza. «Non sapete quanto sono triste è il sarcasmo che usa Matteo Renzi in viaggio per Milano per non essere oggi a Roma a votare la fiducia al governo... La verità è che questi sembrano fare il tifo per un altro lockdown».

C'è un legame tra stato d'emergenza e richiesta del Mes: questo è indubbio. Se davvero la situazione è preoccupante (e lo è); se crescono i contagi e siamo circondati da Paesi dove impazza la seconda ondata; se pure in Parlamento il virus ha toccato più persone che ad aprile; se mancano i vaccini per l'influenza, il reagente per i tamponi, le risorse per adattare le scuole al rischio Covid; in sintesi, se lo stato d'emergenza, per tutto questo, è un passaggio obbligato, allora anche il reperire fondi subito e, quindi, ricorrere al Mes, è un dovere. Sempre che l'azione del governo abbia una logica. Una verità che non nasconde neppure il ministro della Sanità, Speranza, che pure appartiene ad un partito, Leu, che ha sempre guardato con una certa diffidenza al Mes «rimodulato»: «Se dovessi votare, voterei per richiederlo». Un atteggiamento che ritrovi pure nel Pd. Anche tra i più convinti sostenitori dell'attuale quadro politico. «Non prenderlo osserva Valeria Fedeli sarebbe inaccettabile». Mentre il suo compagno di partito, Gianni Pittella, non ha remore ad arrivare al punto: «Ma un Paese serio può non ricorrere al Mes solo perché i 5 stelle rischiano di squagliarsi e il Dibba (Alessandro Di Battista, ndr) potrebbe strumentalizzarlo? Ma su!».

Sembra incredibile, e, invece, è proprio così. Basta stare alle cronache. Nicola Zingaretti sull'argomento ha cominciato a scimmiottare il Conte degli ultimi mesi: «Per favore non chiedetemi del Mes». Dario Franceschini predica prudenza. E il premier con l'inner circle non ha nessun complesso ad ammettere la sua impotenza: «Non vedo Mes. Spaccare la maggioranza durante un'emergenza non mi sembra una buona idea». Risultato: la coppia Dibba-Casaleggio che, a sentir tutti, non conta nulla in Parlamento, o per tatticismo, o per non indebolire Di Maio tra i grillini, o per il timore di una scissione dei 5 stelle, sul tema topico del momento, nei fatti, si porta tutti dietro come il pifferaio di Hamelin, da Conte a Zingaretti e, per ora, lo stesso Renzi. Un paradosso drammatico se si pensa che il Paese si appresta ad affrontare un'ulteriore fase dello stato d'emergenza appeso ai vessilli ideologici del tardo grillismo. Già, a quanto pare, l'importante non è un'azione di governo efficace, ma spegnere le micce della polveriera 5 Stelle. Solo che lì le micce sono tante e tutto è imponderabile. «Casaleggio sbotta Alberto Airola, uno dei senatori identitari del movimento ha ragione. Da noi c'è gente che si sente Papa, tipo Di Maio, che decide, ma non si sa con quale diritto, visto che lui non è più il capo politico. Alla fine c'è più trasparenza negli altri partiti che non da noi. Il Mes? Credo che Conte si opporrà. O, se pensa di prenderlo, ci spieghi almeno che cavolo è!».

Ragionamenti che dimostrano come il movimento va maneggiato con i guanti come la nitroglicerina. Solo che questa condizione finisce per mettere in ambasce quella parte della maggioranza giallorossa che tenta di darsi un'immagine riformista. Tra i renziani circolano giudizi di fuoco. «Io sarei tentato spiegava ieri il mite Giuseppe Cucca di votare contro la fiducia al governo. Per disciplina di gruppo, non lo farò, ma ciò non mi impedirà di dire che abbiamo dei ministri, per usare un eufemismo, inqualificabili». Così, sembra una battuta, il più calmo tra i renziani è proprio Renzi, e questo dovrebbe suggerire una riflessione: il personaggio quando fa «il cavallo matto», per esperienza, non rompe, ma quando, invece, si atteggia a mansueto non è detto. «Io sono tranquillo dice , ma intanto cominciamo ad avere radicamento territoriale. Abbiamo conquistato il primo capoluogo, Enna, anche contro il Pd (con l'appoggio del centrodestra, ndr). Io ho chiesto un tavolo per trovare un'intesa, ma se questi pensano che io resti in una maggioranza che revoca la concessione ad Autostrade e non chiede il Mes, lo dico con tranquillità, si sbagliano di grosso».

È inevitabile, uno può anche tentare di fare lo struzzo, ma certe contraddizioni palesi stato di emergenza sì, Mes no pesano. Anche sul piano dei consensi, se il contagio si impennerà. Soprattutto, perché sono inspiegabili. È un rischio che vede pure l'ex dc Gianfranco Rotondi, la tessera numero 1 del partito cattolico di Conte, se mai ci sarà. «Come si fa a non chiederlo!», insorge: «Sarebbe assurdo lo stato d'emergenza senza ricorrere al Mes. Io ancora spero che lo dica nell'intervento scritto che manderà al nostro convegno di Saint Vincent. E a Conte converrebbe pure. Potrebbe imbarcare Forza Italia con un rimpasto e fare a meno di Dibba. E sarebbe il primo passo di un percorso politico: in fondo il centro è il governo e se Conte scendesse in campo con Renzi che non esiste più e Calenda che è una meteora, si prenderebbe 10 punti a sinistra e 5 a destra».

Eh sì, la contraddizione Mes rischia di logorare l'immagine del premier anche nell'area moderata. E questo potrebbe essere un problema, specie ora che il centrodestra targato Salvini comincia a fare acqua (ieri nel secondo turno ha vinto solo in un capoluogo, Arezzo, con un candidato di Forza Italia) e nella Lega c'è chi, come Giancarlo Giorgetti, è tentato da una linea più centrista e meno «anti-europeista».

Una linea sicuramente più insidiosa per un Conte che con un centrodestra a trazione sovranista ha goduto in Europa e in Italia di una rendita di posizione: stando fermo.

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