Cronache

Stefano Parisi: "Ecco quello che voglio fare"

Il manager alla vigilia della kermesse di Milano: "Io candidato premier? Si vedrà, ma adesso non dico no"

Stefano Parisi: "Ecco quello che voglio fare"

Stefano Parisi, mandato da Berlusconi a esplorare la società civile in cerca di uomini e idee, domani e dopo a Milano mette in vetrina una prima cernita di quattro mesi di lavoro. «Megawatt» è il nome dato all'appuntamento. Da Forza Italia i colonnelli osservano perplessi, qualcuno sostiene che l'esploratore sia già sul punto di perdersi nella giungla ostile della politica. L'uomo non sembra preoccupato, appare sicuro del suo, quasi avesse messo in conto la diffidenza della gerarchia. E come sempre getta acqua sul fuoco: «Quello che stiamo per fare è una conferenza programmatica, non una convention elettorale o una festa di partito».

Giochi di parole a parte, qual è la differenza?

«Provo a portare nella discussione della politica, spesso un po' autoreferenziale, contributi di persone che a un'assemblea di partito non andrebbero ma che sono disponibili a partecipare a una discussione libera e aperta».

Nomi, ambiti di provenienza?

«Aspettate qualche ora e vedrete, non voglio rovinare la sorpresa».

Aspettiamo. Parliamo dell'obiettivo

«Ricostruire una piattaforma ideale per un'area liberale che si contrapponga in modo chiaro e netto alla sinistra. C'è stata un po' di confusione, occorre definire con precisione i confini del mondo di centrodestra sui grandi temi, dalle politiche di risanamento economico alla finanza pubblica, dalle tasse all'immigrazione, dal sistema educativo al concetto di Europa».

Tutto in due giorni?

«È solo l'inizio, seguiranno iniziative territoriali e tematiche. Dobbiamo raccogliere i contributi di chi crede che in Italia ci sia bisogno di un grande cambiamento».

Le idee camminano sulle gambe degli uomini. Sta selezionando una nuova classe politica?

«Guardi, le persone che verranno non sono una squadra, non aderiscono a un progetto, ma questo progetto che si avvia a Milano porterà a selezionare persone di qualità ed esperienza su temi specifici che domani potrebbero essere parte di una offerta politica nuova nell'ambito delle attività del centrodestra».

Forza Italia una classe dirigente già ce l'ha. Siamo alla rottamazione?

«Non è una cosa contro i partiti, assolutamente. Io credo nei partiti. E sono contro la rottamazione. Le dirò di più...».

Dica...

«Sono contro il nuovismo. Penso che l'Italia abbia bisogno di persone di esperienza, non necessariamente politica. Non basta essere giovani e uscire dal web per poter fare il sindaco di Roma, come insegna la storia di queste ore. Ma c'è un ma».

Quale?

«Se il centrodestra vuole recuperare i dieci milioni di voti persi e tornare forza di maggioranza ci sarà posto per tutti. Ma chi invece pensa solo a sopravvivere alla meno peggio si mette ai margini da solo. La politica non è fatta per testimoniare, una grande forza ha il dovere di provare a governare».

Martedì Berlusconi ha annunciato per metà ottobre la convention di Forza Italia. C'è chi la legge come una strana coincidenza...

«È positivo e sono contento che qualcosa si muova, che si senta la necessità di ridefinire una proposta per il Paese. Resta il fatto che la politica ha bisogno di una profonda rigenerazione. Io lavoro per questo. Del resto Berlusconi ha capito benissimo e fin da subito la necessità di distinguere questo lancio programmatico da una analisi su cosa è Forza Italia».

C'è chi dice, se Parisi vuole scendere in campo si facciano le primarie e vedremo chi le vincerà...

«Discorsi vecchi e prematuri. Le primarie o sono regolate come negli Stati Uniti o sono una farsa. Una scorciatoia di una classe dirigente che ha paura di prendere decisioni. Un gruppo dirigente che ha coraggio i candidati li sceglie, come è sempre avvenuto in settant'anni di repubblica. Chi di recente non lo ha fatto, come il Pd, ha combinato solo pasticci».

Prima o poi un candidato leader del centrodestra però andrà scelto.

«Sia chiaro. Non è vero che io oggi faccio questo perché domani voglio fare quello. Al momento decisivo si deciderà chi è il candidato più competitivo in quel momento. Non sto dicendo: io no. Dico che al momento giusto si vedrà. Può essere che questa cosa funzioni e piaccia, e allora mi meriterò di fare un certo percorso, può essere l'inverso e quindi amen. Il tema non è chi siederà più vicino o lontano a Berlusconi, che sulle questioni cruciali avrà la parola definitiva. La domanda è: chi ha tela da tessere e cose da dire? Chiunque ha queste caratteristiche sarà in corsa. A un patto».

Quale?

«Che si corra senza alchimie, spinti dalla volontà di vincere e non da quella di fare perdere qualcun altro. Purtroppo in Italia in politica ci sono giochi a somma zero: io ammazzo te, tu ammazzi me e siamo pari. Ma così si sprecano un sacco di energie e si perde la fiducia nelle persone».

Anche nel centrodestra?

«Purtroppo sì».

Torniamo a Megawatt. Cosa ci sarà di diverso dallo spirito del '94?

«Quel manifesto di allora su Credo e libertà lo condivido dalla A alla Z. È che sono passati tanti anni, il mondo non è più lo stesso. E poi non in Berlusconi ma negli intellettuali che lo avevano ispirato c'era una logica liberale un po' elitaria, soprattutto per i nostri tempi. Tutta l'Europa purtroppo è luogo di liberali elitari che anche quando riescono a fare qualche cosa non danno ai cittadini l'idea che li si stia liberando. Anzi, spesso ci siamo sentiti oppressi anche da scelte apparentemente liberali. L'Unione europea non può costringere gli italiani ad essere come i finlandesi».

E quindi?

«Il nuovo manifesto deve essere liberale-popolare, qualche cosa cioè che la gente capisca come utile a se stessa, non ai grandi interessi o a principi solenni ma astratti».

Una mano tesa a Salvini?

«Guardi, Salvini è stato un mio grande sponsor alle elezioni di Milano nonostante siamo realtà diverse che diverse devono restare. Ma se riusciamo a costruire una forte componente liberale-popolare ecco che allora anche posizioni più estreme possono trarre vantaggio da stare dentro una grande coalizione».

Lei immagina un futuro centrodestra con dentro tutti, ma proprio tutti, Alfano compreso? Pensa che la gente capirebbe?

«Approccio sbagliato. A mio avviso non si deve raccogliere per raccogliere, fare l'Attak per rimettere insieme i cocci. Il problema non è riportare nel centrodestra un ministro o un parlamentare, è riportarci le persone. Non dobbiamo andare a caccia di deputati ma di elettori. Certe fratture, certi tradimenti dolorosi hanno riguardato solo il gruppo dirigente. Posso dirlo? Non mi importa... Operazioni di palazzo fallimentari hanno generato a volte gruppi parlamentari senza voti e allontanato gli elettori che hanno punito tutti».

Non ha risposto.

«Sarò più chiaro. Dobbiamo passare dal non voto o dal voto contro al voto per. Nel '94 la maggioranza degli italiani votò sì contro i comunisti ma soprattutto per Berlusconi. Ricostruiamo quel per, come lo vedremo, e tutto sarà possibile».

Veniamo a Renzi.

«Alternativi, assolutamente alternativi. Dobbiamo fare una operazione verità e dire che oggi l'Italia è in una situazione drammatica. A differenza degli altri paesi europei continuiamo a non crescere. Tentativi di risanamento e mezze riforme, tante chiacchiere e annunci propagandistici non hanno prodotto nulla. Significa che abbiamo puntato su politiche sbagliate. E abbiamo sprecato la nostra credibilità in Europa usando la flessibilità per aumentare il debito. Non dimentichiamoci che Renzi ha buttato soldi per vincere le Europee con la famosa mancia degli 80 euro».

E adesso il referendum...

«Sta diventando un punto di svolta della politica italiana improprio. Parliamo di una riforma oggettivamente confusa per via dei tanti compromessi con cui è stata costruita in parlamento. Renzi è riuscito a spaccare il paese tra due tifoserie, quella del Sì e quella del No, che andranno a votare senza alcuna consapevolezza nel merito. E poi su tutto aleggia un grande falso».

Quale?

«Che se vince il No sarà il caos. Siamo al ricatto. Renzi e i suoi hanno generato un clima di paura che, per esempio, sta mettendo a rischio il salvataggio del Monte dei Paschi, l'emergenza più rischiosa che stiamo vivendo nel Paese».

In che senso?

«Che in questo clima gli investitori stanno alla larga. Tutto il tema della riorganizzazione del sistema bancario è sospeso in attesa del voto. È pericolosissimo. Renzi dovrebbe subito dire la verità, e cioè: chiunque vinca non ci sarà il caos».

Non lo farà, e comunque alcuni suoi colleghi liberali sono per il «Sì»...

«Chi sostiene: Meglio questo che niente, sbaglia. Le riforme si fanno bene o è meglio non farle. Chi è per un Sì da ultima spiaggia perché adesso o mai più sbaglia pure. Al Sì pessimista contrappongo il mio No ottimista».

Ottimista?

«Certo. Se vince il No Renzi per coerenza si dimetterà, questo è certo. E non ci sarà il caos ma una forza politica di centrodestra rinnovata in grado di governare e proporre in una costituente riforme migliori di quelle di Renzi».

Quindi elezioni?

«Prima o poi si voterà. Occorre però cambiare subito la legge elettorale, prima del referendum. Perché comunque vada, dal giorno successivo bisogna essere pronti a ogni evenienza».

E lei sarà pronto?

«Il mio progetto parte domani.

Nei primi mesi del prossimo anno faremo la sintesi di tutto questo lavoro».

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