Tanto Matteo Renzi vuol tenere lontano il governo dalla partita sulle unioni civili che alla fine anche Maria Elena Boschi ha scelto il low profile. Proprio lei, che lo scorso settembre fu ospite del Pride Village di Padova - primo ministro in carica a partecipare a una manifestazione omosessuale - ieri ha deciso non solo di restarsene a casa, ma pure di non esporre né lei né l'esecutivo con una qualche dichiarazione di sostegno allo #svegliatitalia. Altri tempi, insomma, rispetto a cinque mesi fa, quando prometteva che non ci sarebbero stati passi indietro sul disegno di legge Cirinnà, «compresa la stepchild adoption».
D'altra parte, oggi non c'è solo un governo meno saldo di allora, ma pure una controffensiva del mondo cattolico che ha preso terreno, al punto che sono in molti a temere che i numeri del Senato non siano così sicuri. Di qui la scelta di Renzi di chiamare fuori il governo, tanto che la sua difesa della legge - definita «non rinviabile» - è arrivata parlando davanti alla direzione del Pd non in qualità di premier, ma di segretario del partito. E comunque rimbalzando ogni responsabilità sul Parlamento, visto che se non si arriverà a un'intesa Renzi lascerà libertà di coscienza. Uno scenario che in qualche modo ricalca quello del 2007, con Romano Prodi anche lui pronto a sostenere i Dico e poi stoppato dalle forti perplessità della Chiesa. Certo, erano altri tempi e sui temi di bioetica Benedetto XVI aveva una sensibilità diversa da quella di Francesco. Soprattutto, il Family day che mandò in soffitta i Dico fu voluto fortemente dalla Cei di Camillo Ruini e vide in prima linea i big politici dell'allora opposizione, da Silvio Berlusconi a Gianfranco Fini passando per Pier Ferdinando Casini.
Il Family day del prossimo 30 gennaio, invece, sarà un appuntamento sì importante, ma meno d'impatto rispetto a nove anni fa.Nonostante questo, Renzi gioca in difesa proprio per non fare la fine di Prodi. Consapevole che un eventuale stop alle unioni civili non potrebbe non avere contraccolpi.
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