La lettera: "Non ci neghi le cure o sarà la fine"

Così mogli e sorelle chiedevano invano al pm la ripresa delle terapie bloccate dall’indagine

Strazio, disperazione, impo­tenza. Sono voci flebili che ar­rivano da lontano, da una stanzet­ta isolata e buia; chiedono di esse­re ascoltate, implorano, supplica­no. Sono le lettere dei familiari dei malati, una moglie, una sorella. Condannati ad assistere impoten­ti la degenerazione della malattia.
C’era una cura che un’inda­gine della magi­stratura ha interrot­to. È questo l’aspet­to più atroce: la cura, seppur sperimentale esisterebbe, ma i giudi­ci l’hanno bloccata. Se ci saranno colpevoli o vit­time si capirà più avanti, quando la giustizia avrà srotolato la matassa di un caso intricatissimo sulla cu­ra con le staminali bloccata per l’inchiesta che coinvolge la onlus Stamina Foundation.
Intanto, lontano dai tribunali ci so­no i malati che aspettano di ri­prendere le cure interrotte. «È come morire di sete,avere l’ac­qua accanto ma non poterla afferrare», dice Pierpaolo
Carrer, il padre di Celeste, la bambina di due anni in cura con le staminali. Il suo caso sta commuo­vendo l’Italia, i genito­ri hanno fatto ricorso, chiesto ad un tribu­nale di Venezia che la bimba possa ri­cominciare le tera­pie.
Sono storie atroci,l’ac­qua, cioè la cura, per questi malati è stata somministrata per un peri­odo. Ci sarebbero stati migliora­menti, benefici. Poi, l’intervento della procura che ha aperto un’in­dagine sulla Fondazione Stamina ha interrotto e conge­lato tutto, la vita di queste persone e dei loro familiari messe tra paren­tesi. Ma c’è il tempo con cui fare i conti. Il tempo che nel caso del­le malattie degenera­tive, non fa scon­ti. E allo­ra, senza inie­zioni, senza cure, si tor­na a peggiorare, il respiro tor­na ad essere affannoso, le gambe smettono di rispondere ai co­mandi. Gli occhi fan­no fatica a segui­re i m­o­vimen­ti.
Passa­no­le setti­mane, i me­si, le pre­ghiere, i pian­ti, le urla. Nes­suno riesce a capire perché. Le risposte sono vaghe, inconsi­stenti. Si muovono i famigliari, dispera­ti scrivono direttamente a chi ha dato il via a questo calvario. Le sup­pliche sono indirizzate diretta­mente al pm Guariniello ( nella fo­to). E leggere quelle lettere è uno strazio. È solitudine e preghiera.
M.V.ha un marito malato,e la di­sperazione è quella di una donna ignorata. «Mi rivolgo a lei dopo ave inutilmente cercato informa­zioni presso i Nas di Torino e la sua segreteria, sperando in una ri­sposta ». Da sei mesi suo marito ha smesso di essere curato, i peggio­ramenti non sono ancora eviden­ti, ma la donna sa che,l’unica spe­ranza per il marito è non perdere tempo. «Ci sarà un momento in cui non sarà più possibile per lui tornare indietro e questo spreco di tempo vitale è una crudeltà inammissibile. La nostra vita è let­teralmente in mano vostra e nes­suno se ne cura». La donna chie­de, invoca una spiegazione, un po’ di attenzione. «Mi riferisco al­la Sua indagine sulla Stamina Foundation e le scrivo per chieder­le perché mio marito non si può più curare con le proprie cellule staminali, unica speranza per la sua situazione di salute».
L’inchiesta della procura ha tro­vato miccia negli esposti di alcuni pazienti che hanno denunciano tramite un esposto la Fondazio­ne. L’accusa è grave, la Onlus avrebbe chiesto loro denaro o, in altri casi, a di mantenere segrete le cure stesse in quanto ancora sperimentali. Nel 2010, il marito della donna smette di ricevere le cure. Come lui tanti altri pazienti
si vedono bloccare la terapia. «Mi dispiace che l’avido e mero desi­deri­o di speculazione di chi ha pre­sentato esposto ricada su tutti noi, che non abbiamo scelta in questa vicenda che riguarda il nostro di­ritto più grande alla vita e alla salu­te. Nessuno di noi è stato illuso. Tutti noi sappiamo che le cure pos­sono funzionare, come no, ma al­meno ci sono speranze, quelle che ci avete tolto “voi“». Come in un labirinto dove non si trova più la strada, così si muove la donna: «Desidero sapere chi si è assunto la responsabilità della vita di mio marito, dal giorno in cui le cure so­no state interrotte... Nessuno ci ha detto nulla e la vita, così, è un tun­nel buio senza uscita».
Tra le disperate lettere di aiuto c’è anche quella di una sorella. Scrive quasi sotto voce, per paura di non disturbare, scusandosi del disturbo.

«Non conosco natural­mente le imputazioni, ma le assi­curo che la terapia funziona e che, come ho avuto modo di accertare documentandomi prima di deci­dere di compierla rappresenta l’unica al momento possibile: è per tale ragione che oso spinger­mi a chiederle di fare tutto quanto in suo potere per fare in modo che i malati che hanno iniziato a intra­vedere uno spiraglio di salvezza, possano continuare una terapia che non danneggia, non ha con­tro indicazioni e che può non solo portare, se non la guarigione, per certo un miglioramento delle con­dizioni di vita, al momento sem­pre più drammatiche ed in rapido inesorabile declino». Ma in en­trambi i casi le suppliche sono sta­te ignorate.

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