La T-Shirt compie cent'anni

Dalla maglietta intima dei Marines alla grande industria, storia di un indumento che ha l'età di una bisnonna, ma non la dimostra affatto.

 La regina del pop Madonna con una maglietta indossata in un video dell'86
La regina del pop Madonna con una maglietta indossata in un video dell'86

Talvolta conviviamo, senza pensarci, con autentici pezzi si storia. Pensate alla T-Shirt: semplice, economica, allegra. Chi non ne possiede almeno una? Chi non ne ha fatto un souvenir al rientro da un viaggio? Chi non si è soffermato a leggervi uno slogan stampato fronte-retro o ad ammirarvi un van Gogh? La T-Shirt compie cent'anni e merita degne celebrazioni: fa parte della fisionomia dei nostri giorni, ha partecipato ai più impetuosi moti di libertà, ha accompagnato le folle in tanti momenti di gioia o di protesta. Quel secolo tondo tondo lo ha messo per iscritto Cristina Taccani in un libro che s'intitola “I love (col cuoricino) T-Shirt”, edito dalla Biblioteca della moda (128 pagine, 10 euro). Una via di mezzo tra il saggetto storico, informato ma non noioso, il trattatello di costume, la lieve analisi sociologica: del resto, Cristina Taccani è una giornalista di bellezza e di stili di vita, come poteva non cavalcare con disinvoltura un tema così trasversale a classi, culture, generazioni, ideologie? Il libro è coerente con la maglietta che celebra: vivace, illustrato, ricco, pieno di curiosità, bell'oggetto da tenere in mano.

Cent'anni fa la produzione della T Shirt è cominciata in larga scala. Qualche antesignana c'era già prima, ma era di lana, decisamente un'altra cosa. Il vero lancio ha la patenità dell'esercito americano, che alla vigilia della Prima guerra mondiale dotò il corpo dei Marines di questo indumento “di sotto”, semplice, igienico, piacevole: e, soprattutto, di cotone, quindi leggero, fresco, sottile sulla pelle. I Marines la indossavano sotto alla divisa, ma se toglievano la divisa il bianco del cotone rischiava di luccicare troppo a favore del nemico: cominciarono così a tingerla, a sporcarla con i fondi del caffè, e divenne mimetica e, soprattutto, si capì che era versatile. I soldati se la portarono a casa, e qui diventò un indumento civile: nei campi, nelle fabbriche, nelle stalle, nel tempo libero. Così facile da indossare, entrò di slancio nel mondo dello sport, anche nella versione con colletto, poi diventata Polo.

Di un prodotto dotato di questa forza spontanea non potevano non accorgersi grande industria commerciale, mass media, cinema, arte. Fin dagli anni Trenta la T-Shirt diventò una protagonista dell'abbigliamento casual, e in America fu venduta in massa a domicilio grazie ai cataloghi dei grandi brand di ordini per corrispondenza. Il suo uso si allargò in maniera prepotente. Nel 1942, durante la Seconda guerra mondiale, nel 1942 Life dedicò una copertina a un soldato americano vestito della sua T-Shirt e con un mitra in mano: diventò un'icona più sexy che bellica (molto simile al mitra imbracciato in una pubblicità dal David di Michelangelo che tanto scalpore ha sollevato). Nel 1948 Thomas E. Dewey, allora governatore di New York, fu il primo a utilizzare la maglietta come supporto per un messaggio politico, per sostenere la sua candidatura alla Casa Bianca; fu sconfitto, ma non per colpa della maglietta. Tanto è vero che nel 1952 lo imitò Dwight D. Eisenhower, e vinse.

Quello della T-Shirt è un viaggio tra le generazioni e all'interno di queste. Marlon Brando, James Dean, ma anche i giovani in rivolta contro la guerra del Vietnam, i figli dei fiori: tutti con la T-Shirt, spesso autodecorata in maniera grossolana. E poi i sessantottini a Parigi, i Beatles, Eric Clapton, gli sterminati e variopinti raduni per i concerti di Woodstock, Brigitte Bardot, Audrey Hepburn. E' diventata un supporto di comunicazione, come un foglio bianco, un media al servizio di pubblicità e propaganda, tela per artisti. La stessa T-Shirt di cui si sono accorti anche gli stilisti, sempre lei: costa poco, è versatile, piace a tutti. Non ce n'è uno che non l'abbia inserita nei suoi cataloghi di stagione. Armani la indossa con ostentata indifferenza sotto la giacca, ma ben consapevole che è un tocco di stile e di gioventù.

Resta un unico mistero: perchè si chiama T-Shirt? L'opinione corrente è che sia la forma ad averle appiccicato il nome, per via di quella T stilizzata che disegna le spalle.

Ma c'è anche chi pensa che la T derivi da Training, come dire maglietta d'allenamento, oppure che la T stia per Teen, giovane. Quest'ultima tesi è suggestiva: perché la T shirt ha l'età di una bisnonna, ma non la dimostra affatto.

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