Dalla polvere minerale (quella che inquina) alla polvere di stelle. Anzi, di Cinque Stelle. Potremmo sintetizzare così la più grave crisi politica che ha colpito il movimento dalla sua fondazione. L'Ilva di Taranto è stata pietra d'inciampo non solo per Luigi Di Maio, ma anche per i rappresentanti istituzionali e per quella base militante che ha sempre creduto in una svolta ambientalista.
Di Maio ha promesso la chiusura delle fonti inquinanti, la bonifica, la riconversione. Ma in realtà il vice premier, come Penelope, tesseva a Taranto una tela che puntualmente ha disfatto a Roma consegnando lo stabilimento siderurgico nelle mani di Arcelor Mittal, garantendo così un futuro all'Ilva e agli operai, anche loro grandi elettori del Movimento Cinque Stelle. Così i grillini si sono impiccati alle parole: chiusura delle fonti inquinanti, bonifica, riconversione.
A farne le spese in principio fu la deputata Rosalba De Giorgi. Giornalista tarantina, eletta a furor di popolo nello scorso marzo, De Giorgi è dovuta scappar via dalla piazza in cui gli ambientalisti tenevano un sit in al grido di "venduta, dimettiti". "L'operazione Ilva non è conclusa." Dichiara De Giorgi al Giornale glissando sulle proteste degli ecologisti. Lei ha ancora voglia di spiegare: "Per chi ha seguito le cose sa che non si poteva annullare il contratto, perché il Tar avrebbe fatto ricorso. Nonostante le aspettative disattese in questo momento quel contratto è la cosa migliore perchè le cose andranno diversasmente in futuro. Mittal dovrà seguire le regole e noi intanto cerchiamo delle altrnative perchè Taranto non può vivere solo di questo."
Ma i nodi sono arrivati al pettine. In realtà, il Movimento Cinque Stelle a Taranto, dopo la grande ascesa alle politiche del 2012 (fu stravotato dagli operai dell'Ilva) ha vissuto una profonda crisi nel capoluogo pugliese che anticipava questa crisi d'identità visibile a livello nazionale.
Sono stati i non esaltanti risultati alle comunali a dimostrare il malessere. Così, il movimento decise di incrociare i suoi destini con quelli dei "Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti", tra i quali c'è un nutrito gruppo di operai dell'Ilva che ha addirittura espresso un consigliere comunale: Massimo Battista. I "Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti" sono da sempre per la chiusura e la riconversione dell'Ilva, così il Movimento Cinque Stelle pensò furbamente, alla vigilia delle scorse elezioni politiche, di stringere alleanza con il gruppo nato nel periodo caldo del sequestro giudiziario dell'Ilva (anno 2012). Questo fruttò il successo a marzo, ma ora, che, come dicevamo, il nodo è arrivato al pettine e la contraddizione è esplosa, nelle mani dei grillini restano i cocci taglienti di un giocattolo che si è rotto.
Massimo Battista ha lasciato il gruppo dei cinque stelle in consiglio comunale a Taranto scagliandosi con forza contro la politica della "doppia verità" grillina: "Annuncio la mia volontà di lasciare il Movimento Cinque Stelle. È una decisione che prendo nel rispetto di più di mille cittadini che mi hanno votato ma anche di tutto il resto della città. Ho sperato anch’io che fosse finalmente arrivato il momento di iniziare a realizzare una Taranto libera dalla fonti inquinanti, fondata su quelle economie alternative che da decenni vengono sacrificate. Avrebbe richiesto anni di impegno, ma con un governo alleato e non più nemico non sarebbe stato impossibile. Da diversi mesi, però, è evidente per me che le speranze nel Movimento Cinque Stelle sono state tradite. Da quando si è insediato il governo Conte. Allearsi con un partito xenofobo e razzista come la Lega ha segnato lo spartiacque tra un Movimento spontaneo, cresciuto dal basso, e un partito conservatore che soffia sulle paure della gente. Nonostante mi fosse chiaro ho voluto aspettare. Il mio mandato elettorale, la mia storia, è strettamente legata all’Ilva di Taranto e su questo ho voluto giocarmi fino in fondo la partita. Sono un operaio, un ex delegato sindacale, ma soprattutto sono un cittadino che ama la sua città. Ho voluto vedere cosa ci fosse per Taranto nel mazzo di carte del Cinque Stelle, nelle mani di Di Maio. Ho sperato di poter incidere per indirizzare le scelte verso un cambiamento vero, tangibile, lungimirante.
Né più né meno di quello che avevamo promesso in campagna elettorale, alle amministrative prima e alle politiche poi. Abbiamo difeso a denti stretti quanto era scritto nel programma politico affinché fosse riportato intatto all’interno in quello di Governo. Siamo riusciti a non snaturare completamente quell’impegno formale ma non è bastato. Alla prova dei fatti hanno dimostrato di non voler mettere in discussione l’attuale economia della città procedendo in continuità con il precedente esecutivo. Un cambio di rotta che non è mai stato realmente condiviso con il territorio, con noi che siamo nelle istituzioni e che in esse rappresentiamo il Cinque Stelle. Io, come i cinque parlamentari, abbiamo incontrato solo due volte Di Maio per parlare di Taranto e Ilva. Onorevoli e senatori tarantini non erano neanche stati informati la scorsa settimana dell’incontro tra sindacati, Mittal e Di Maio per raggiungere un accordo che garantisse la continuità produttiva e il passaggio al gruppo franco-indiano. Tutt’oggi nessuno conosce il piano industriale di Mittal."
C'è chi però non ci sta, non crede alla doppia verità grillina, è sì deluso ma getta acqua sul fuoco. Si tratta del parlamentare Cinque Stelle Mario Turco: "Se io non mi sono dimesso non significa che non sia deluso. Le aspettative da parte di tutti erano tante e la città aveva aspettative. Ognuno di noi è rimasto molto deluso dall'esito della vertenza. Io sono un economista e la mia chiamata in politica era legata soprattutto per la riconversione economica. Su Battista? Ognuno reagisce in relazione alla sua delusione. La partita dell'Ilva non è chiusa e, soprattutto, non c'è crisi nel movimento", ha dichiarato al Giornale.
Sarà, ma è forte la sensazione che la polvere di stelle, anzi di cinque Stelle, abbia soffocato e soffocherà Taranto più della polvere di minerale e che il vento delle contraddizioni e di una certa approssimazione politica possa arrivare fino a Roma, scuotendo i palazzi e rendendo meno stabile le poltrone su cui sono seduti Di Maio e i suoi uomini.
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