Traffico d’armi con Libia e Iran: fermati due convertiti all'islam

Quattro arresti a Napoli. Vendevano elicotteri, fucili d'assalto e missili terra-aria. Scoperti traffici illeciti con Iran e Libia

Traffico d’armi con Libia e Iran: fermati due convertiti all'islam

Fucili d'assalto, missili terra-aria e missili anticarro, prodotti da Paesi dell'ex blocco sovietico. Armi da guerra che, aggirando l'embargo, facevano arrivare direttamente in Libia e Iran senza le necessarie autorizzazioni ministeriali. Quattro persone sono state fermate a Napoli con l’accusa di traffico internazionale di armi e di materiale dual use di produzione straniera. Si tratta di una famiglia di San Giorgio a Cremano e Andrea Pardi, amministratore delegato della Società italiana elicotteri, coinvolta negli anni scorsi in una inchiesta sull'assoldamento di mercenari e un traffico di armi tra Italia e Somalia. Il quarto destinatario della misura restrittiva, che riguarda un cittadino libico, sarebbe irreperibile.

I quattro fermati avevano contatti frequenti con cittadini libici, somali e iraniani. E, stando all'indagine coordinata dai pm Catello maresca e Luigi Giordano, proprio in Libia e in Iran avrebbero spedito, tra il 2011 e il 2015, armi da guerra e eliambulanze, che venivano poi trasformati in potenti elicotteri da guerra. Il tutto aggirando tranquillamente l'embargo. Agli atti dell'inchiesta vi sarebbe anche una fotografia in cui la coppia, entrambi convertiti all'islam e poi radicalizzati, è in compagnia dell'ex premier iraniano Mahmud Ahmadinejad. "I due - si legge tra le carte dell'inchiesta - intrattenevano rapporti con alti funzionari di Iran e Libia". Il sistema ruotava attorno a una società con sede a Roma. "Per vendere i pezzi di ricambio degli elicotteri in quel paese, i due - spiegano gli inquirenti - avevano messo in piedi una triangolazione con una società della Repubblica di Panama, che non riconosce l'embargo". Le armi e gli elicotteri sono stati commercializzati nel mercato nero.

Agli atti delle indagini ci sarebbero anche i contatti telefonici tra la coppia di San Giorgio a Cremano e i rapitori di quattro italiani sequestrati in Libia due anni fa. Le forze dell'ordine sono riuscite a decriptare alcuni sms successivi al sequestro in cui la coppia faceva riferimento alle persone già incontrate qualche tempo prima e facendo intendere che erano i rapitori libici. A marzo 2016 due dei nostri connazionali, Fausto Piano e Salvatore Failla morirono mentre gli altri due rapiti, Gino Pollicandro e Filippo Calcagno, riuscirono a mettersi in salvo.

L'inchiesta ha preso il via da una indagine sul clan dei casalesi avviata dal pm Cesare Sirignano, ora alla Direzione nazionale antimafia (Dna), e poi continuata dai colleghi Maresca e Giordano, con il coordinamento del procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli. Lo scorso luglio era stata avanzata un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti degli indagati.

Dal momento che il gip non aveva ancora emesso il provvedimento, la procura di Napoli ha deciso di forzare la mano ed eseguire i fermi con l'operazione denominata "Italian Job". Molti elementi facevano infatti pensare che gli indagati, che sono intestatari di numerosi conti bancari in diversi Paesi stranieri, si preparassero a fuggire lasciando l'Italia.

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