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La Turchia "mette al bando" il teatro straniero dai palchi

"Rafforzare i sentimenti nazionali". Le scene teatrali parleranno solo il turco

Amleto principe musulmano alla corte ottomana, in una produzione del bosniaco Haris Pasovic
Amleto principe musulmano alla corte ottomana, in una produzione del bosniaco Haris Pasovic

Sarà un inizio stagione senza stranieri per la scena teatrale in Turchia, quantomeno per quei palcoscenici che fanno capo al Devlet Tiyatroları Genel Müdürlüğü, il direttorato dei teatri statali, che vedranno in scena soltanto opere locali.

Un'iniziativa di cui scrivono i media locali, accompagnata dallo slogan "I teatri in Turchia alzano il sipario sulle opere turche" e che significa che capolavori stranieri messi in scena da compagnie locali non avranno cittadinanza sul palcoscenico durante la prima serata, come le opere turche considerate non adeguate al clima attuale.

Il comunicato ufficiale sul sito del Direttorato è molto chiaro nel dire che la decisione è stata presa come conseguenza al tentato colpo di Stato del 15 luglio. In Turchia sono 65 i palchi dalle città principali come Istanbul, Ankara e Smirne alle province, per un totale di 12 regioni.

Le opere del "teatro pubblico" hanno in Turchia prezzi più accessibili di quelli privati e offrono ogni anno un posto a migliaia di spettatori. Il fine dell'operazione, ha sostenuto il direttore generale Nejat Birecik, citato dall'agenzia stampa Anadolu, è quello di "contribuire all'integrità e all'unità della patria e rafforzare i sentimenti nazionali". Un tema che nel dopo-15 luglio è al centro delle preoccupazione dello Stato turco.

Sul tema della coesione nazionale Erdogan sta puntando tutto, mentre porta avanti un'estesa campagna di arresti e purghe contro chiunque sia ritenuto vicino al movimento di Fethullah Gulen, ritenuto dalla stragrande maggioranza dei cittadini turchi il mandante del tentativo di colpo di Stato.

Indicativo il fatto che, dal 15 luglio ad oggi, tre dei quattro partiti presenti in Parlamento abbiano mostrato una maggiore comunione d'intenti, sfociata nella manifestazione oceanica di Istanbul. Un'unità che fa a meno del filo-curdo Hdp, che viene accusato di essere "braccio politico" del Pkk, in Turchia classificato come sigla del terrorismo.

Se per ora si parla solo di un impeto nazionalista che ha cambiato la programmazione dei teatri nazionali, c'è tuttavia chi teme che l'amministrazione voglia lasciare a casa centinaia di attori. Il veterano e dissidente Orhan Aydin ha espresso la sua preoccupazione alla piattaforma giornalistica T24. "Fascismo", ha definito l'operazione, promettendo che la categoria non si piegherà.

Non è la prima volta che i piani per la cultura delle autorità finisono sotto scrutinio. Già ad aprile la giornalista Pinar Tremblay aveva raccontato su Al Monitor dei dubbi sul "pacchetto cultura" presentato dall'allora ministro Davutoglu, che aveva invitato gli artisti ad agire da "fari di speranza" e "contro la polarizzazione" sociale, in un'ottica statalista.

Sono intanto più di 33mila i prigionieri comuni che sono stati rilasciati a oggi e dopo il 15 luglio, in libertà condizionale, in un provvedimento già annunciato per decreto e che è stato letto come un modo per "fare spazio" a quanti sono stati arrestati nell'ultimo mese e mezzo.

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